Capitolo 1 La rivoluzione capitalista

Come il capitalismo ha rivoluzionato il nostro modo di vivere, e come gli economisti spiegano il funzionamento dei sistemi economici

Nel XIV secolo, il mercante e studioso marocchino Ibn Battuta descriveva la regione del Bengala in India come:

“un paese di grandi dimensioni, dove il riso è estremamente abbondante. In effetti, in nessun’altra parte del mondo ho mai visto tanta disponibilità di cibo”.

E avendo viaggiato in Cina, Africa Occidentale, Medio Oriente ed Europa, di mondo ne aveva visto molto. Tre secoli più tardi, nel XVII secolo, la stessa impressione veniva confermata dal mercante di diamanti francese Jean Baptiste Tavernier, che scrisse di quel paese:

“Perfino nel più piccolo villaggio riso, farina, burro, latte, fagioli e altre verdure, zucchero e dolciumi, sono disponibili in abbondanza”.

— Jean B. Tavernier, Viaggi in India (1676)

Nel periodo dei viaggi di Ibn Battuta l’India non era più ricca delle altre aree del mondo, ma nemmeno più povera. A quel tempo, un osservatore avrebbe potuto notare che la popolazione, in media, viveva meglio in Italia, Cina e Inghilterra rispetto al Giappone o all’India. Ma le marcate differenze tra ricchi e poveri di uno stesso paese, che il viaggiatore avrebbe notato ovunque fosse andato, erano molto più pronunciate delle differenze tra paesi. Ricchi e poveri erano spesso indicati con nomi diversi: in alcuni paesi erano signori feudali e servi, in altri reali e sudditi, proprietari di schiavi e schiavi, oppure mercanti e marinai che trasportavano i loro beni. Allora, come oggi, il futuro di una figlia o di un figlio dipendeva dalla posizione sociale ed economica dei genitori. Rispetto ai nostri tempi, la differenza è che nel XIV secolo era molto meno importante in quale parte del mondo la figlia o il figlio nascesse.

Proiettandoci in avanti fino ad oggi, la popolazione in India sta molto meglio di sette secoli fa in termini di accesso al cibo, cure mediche, disponibilità di un tetto o altri beni necessari; tuttavia, per gli attuali standard mondiali, la maggior parte degli indiani è considerata povera.

Ibn Battuta

Ibn Battuta (1304–1368) è stato un viaggiatore e mercante marocchino, le cui memorie di viaggio furono pubblicate nel libro Rihla (Il Viaggio). I suoi viaggi, durati 30 anni, lo portarono attraverso il Nord Africa e l’Africa Occidentale, l’Europa orientale e l’Asia, fino in Cina. Viaggiò per 70.000 miglia (113.000 Km), molto oltre la distanza coperta dal suo ben più noto contemporaneo Marco Polo (1254–1324)

La figura 1.1 racconta una parte della storia. Per confrontare il tenore di vita di ciascun paese, usiamo una misura chiamata PIL pro capite. Le persone ottengono il loro reddito dalla produzione e dalla vendita di beni e servizi; il Prodotto interno lordo, o PIL, è il valore totale di tutto ciò che è prodotto in un periodo dato, solitamente un anno, per cui il PIL pro capite corrisponde al reddito medio annuo, e il PIL è a volte indicato anche come reddito interno lordo. Nella figura 1.1 l’altezza di ciascuna linea è una stima del reddito medio in corrispondenza dell’anno indicato sull’asse orizzontale. In base a questa misura, gli abitanti del Regno Unito in media stanno sei volte meglio che in India. I giapponesi sono ricchi come gli inglesi, proprio come nel XIV secolo, ma ora gli americani stanno anche meglio dei giapponesi.

Il bastone da hockey della storia

Il bastone da hockey della storia: PIL pro capite in cinque paesi negli ultimi mille anni.

Figura 1.1 Il bastone da hockey della storia: PIL pro capite in cinque paesi negli ultimi mille anni.

bolt.vanzanden.2013 broadberry.2013 Total Economy Database del Conference Board.

Siamo in grado di disegnare il grafico della figura 1.1 grazie all’economista Angus Maddison (1926–2010), che ha dedicato il lavoro di una vita alla difficile ricerca dei dati necessari a confrontare i livelli di vita su un arco di 2.000 anni (questa ricerca è tuttora in corso nell’ambito del Maddison Project). In questo corso vedrai che dati come questi sulle diverse regioni o individui rappresentano il punto di partenza di gran parte dell’analisi economica.

1.1 La diseguaglianza del reddito

Mille anni fa, economicamente parlando, il mondo era piatto. C’erano differenze di reddito tra regioni del mondo, ma, come possiamo vedere dalla figura 1.1, le differenze erano molto esigue rispetto a quello che sarebbe seguito. Nessuno oggi, considerando il reddito, pensa più che il mondo sia piatto.

La figura 1.2 mostra la distribuzione del reddito tra paesi e all’interno di essi. I paesi sono ordinati in base al livello del PIL pro capite dal più povero a sinistra (la Liberia) al più ricco a destra (Singapore). L’ampiezza di ciascuna barra rappresenta la dimensione della sua popolazione.

Per ogni paese vi sono dieci barre, corrispondenti ai decili di reddito. L’altezza di ciascuna barra è il reddito medio, misurato in dollari USA 2005, di un 10% della popolazione, andando dal più povero sulla parte anteriore del grafico fino al più ricco sullo sfondo. Osservate che questi ultimi non rappresentano “il 10% più ricco dei percettori di reddito”, bensì il 10% più ricco della popolazione, assumendo che ciascuna persona, inclusi i bambini, percepisca una uguale quota del reddito della famiglia di appartenenza.

I grattacieli (le colonne più alte) dietro e a destra nella figura rappresentano il reddito del 10% più ricco nei paesi più ricchi. Il grattacielo più alto è il 10% più ricco degli abitanti di Singapore. Nel 2014, questo gruppo esclusivo ha avuto un reddito pro capite superiore ai 67.000 $. La Norvegia, il paese con il secondo PIL pro capite più elevato, non ha grattacieli particolarmente alti (sono nascosti dietro a quelli di Singapore e del terzo paese più ricco, gli USA) perché il reddito dei norvegesi è distribuito più equamente che negli altri paesi ricchi. La figura 1.2 mostra come è cambiata la distribuzione del reddito dal 1980 ad oggi. Due cose emergono con chiarezza dalla distribuzione del reddito del 2014. La prima è che in ciascun paese i ricchi hanno molto più dei poveri. Una semplice misura della diseguaglianza è il rapporto 90/10, che qui definiamo come il reddito medio del 10% più ricco diviso per il reddito medio del 10% più povero (più comunemente definito come il rapporto tra il reddito del 90° percentile sul reddito del 10° percentile). Anche in un paese relativamente egualitario come la Norvegia, il rapporto 90/10 è pari a 5,4; negli Stati Uniti è 16 e in Botswana, nell’Africa meridionale, è pari a 145. La diseguaglianza nei paesi più poveri è difficile da vedere nel grafico, ma è presente: il rapporto 90/10 è 22 in Nigeria e 20 in India.

Distribuzione del reddito mondiale nel 2014

I paesi sono ordinati in base al PIL pro capite da sinistra a destra. Per ciascun paese l’altezza delle barre mostra il reddito medio per i decili di popolazione, dal 10% più povero davanti al 10% più ricco dietro. La larghezza della barra indica la popolazione del paese.

Figura 1.2 I paesi sono ordinati in base al PIL pro capite da sinistra a destra. Per ciascun paese l’altezza delle barre mostra il reddito medio per i decili di popolazione, dal 10% più povero davanti al 10% più ricco dietro. La larghezza della barra indica la popolazione del paese.

Global Consumption and Income Project. Questa rappresentazione grafica della diseguaglianza globale è opera di Bob Sutcliffe, che ne ha pubblicato una prima versione in: sutcliffe.2001 La versione interattiva del grafico è accessibile sul sito web Globalinc.

Il più ricco e il più povero

Il paese più ricco, alla destra estrema della figura, è Singapore, dove i redditi medi del 10% più ricco e del 10% più povero della popolazione sono pari rispettivamente a 67.436 $ e a 3.652 $. In Liberia, il paese alla sinistra estrema della figura, tali valori medi sono rispettivamente 994 $ and 17 $.

Figure 1.2a Il paese più ricco, alla destra estrema della figura, è Singapore, dove i redditi medi del 10% più ricco e del 10% più povero della popolazione sono pari rispettivamente a 67.436 $ e a 3.652 $. In Liberia, il paese alla sinistra estrema della figura, tali valori medi sono rispettivamente 994 $ and 17 $.

Global Consumption and Income Project. Questa rappresentazione grafica della diseguaglianza globale è opera di Bob Sutcliffe, che ne ha pubblicato una prima versione in: sutcliffe.2001 La versione interattiva del grafico è accessibile sul sito web Globalinc.

Grattacieli

Le barre a forma di grattacielo sul fondo e a destra della figura rappresentano il 10% più ricco dei paesi più ricchi.

Figura 1.2b Le barre a forma di grattacielo sul fondo e a destra della figura rappresentano il 10% più ricco dei paesi più ricchi.

Global Consumption and Income Project. Questa rappresentazione grafica della diseguaglianza globale è opera di Bob Sutcliffe, che ne ha pubblicato una prima versione in: sutcliffe.2001 La versione interattiva del grafico è accessibile sul sito web Globalinc.

La distribuzione del reddito mondiale nel 1980

Nel 1980 la graduatoria dei paesi per ricchezza era diversa. I paesi più poveri (indicati in rosso scuro) erano il Lesotho e la Cina. I più ricchi (in verde scuro) erano la Svizzera, la Finlandia e gli Stati Uniti. A quel tempo i grattacieli non erano così alti: la differenza tra il 10% più ricco e il resto della popolazione in ciascun paese non erano molto marcate.

Figura 1.2c Nel 1980 la graduatoria dei paesi per ricchezza era diversa. I paesi più poveri (indicati in rosso scuro) erano il Lesotho e la Cina. I più ricchi (in verde scuro) erano la Svizzera, la Finlandia e gli Stati Uniti. A quel tempo i grattacieli non erano così alti: la differenza tra il 10% più ricco e il resto della popolazione in ciascun paese non erano molto marcate.

Global Consumption and Income Project. Questa rappresentazione grafica della diseguaglianza globale è opera di Bob Sutcliffe, che ne ha pubblicato una prima versione in: sutcliffe.2001 La versione interattiva del grafico è accessibile sul sito web Globalinc.

La distribuzione del reddito mondiale nel 1990

Guardando ai colori vediamo che molti paesi hanno cambiato posizione tra il 1980 e il 1990. La Cina (in rosso scuro) è ora più ricca; l’Uganda (anch’essa in rosso) è in mezzo a molti paesi indicati in giallo. Sono comparsi alcuni grattacieli molto alti: la diseguaglianza è cresciuta in molti paesi durante gli anni Ottanta.

Figura 1.2d Guardando ai colori vediamo che molti paesi hanno cambiato posizione tra il 1980 e il 1990. La Cina (in rosso scuro) è ora più ricca; l’Uganda (anch’essa in rosso) è in mezzo a molti paesi indicati in giallo. Sono comparsi alcuni grattacieli molto alti: la diseguaglianza è cresciuta in molti paesi durante gli anni Ottanta.

Global Consumption and Income Project. Questa rappresentazione grafica della diseguaglianza globale è opera di Bob Sutcliffe, che ne ha pubblicato una prima versione in: sutcliffe.2001 La versione interattiva del grafico è accessibile sul sito web Globalinc.

La distribuzione del reddito mondiale nel 2014

Nel 2014 molti paesi hanno cambiato la propria posizione in graduatoria. La Cina è cresciuta molto rapidamente dal 1990. Ma quelli che erano i paesi più ricchi nel 1980 (in verde scuro) sono ancora in cima alla classifica nel 2014.

Figura 1.2e Nel 2014 molti paesi hanno cambiato la propria posizione in graduatoria. La Cina è cresciuta molto rapidamente dal 1990. Ma quelli che erano i paesi più ricchi nel 1980 (in verde scuro) sono ancora in cima alla classifica nel 2014.

Global Consumption and Income Project. Questa rappresentazione grafica della diseguaglianza globale è opera di Bob Sutcliffe, che ne ha pubblicato una prima versione in: sutcliffe.2001 La versione interattiva del grafico è accessibile sul sito web Globalinc.

È cresciuta la diseguaglianza all’interno dei paesi

La distribuzione del reddito è diventata più diseguale in molti dei paesi più ricchi: l’altezza dei grattacieli è cresciuta. Anche nei paesi di media ricchezza c’è stata una crescita delle barre sul fondo della figura: il reddito del 10% più ricco è aumentato rispetto a quello del resto della popolazione.

Figura 1.2f La distribuzione del reddito è diventata più diseguale in molti dei paesi più ricchi: l’altezza dei grattacieli è cresciuta. Anche nei paesi di media ricchezza c’è stata una crescita delle barre sul fondo della figura: il reddito del 10% più ricco è aumentato rispetto a quello del resto della popolazione.

Global Consumption and Income Project. Questa rappresentazione grafica della diseguaglianza globale è opera di Bob Sutcliffe, che ne ha pubblicato una prima versione in: sutcliffe.2001 La versione interattiva del grafico è accessibile sul sito web Globalinc.

La seconda cosa da osservare nella figura 1.2 è l’enorme differenza tra paesi. Il reddito medio in Norvegia è 19 volte il reddito medio in Nigeria, e il 10% più povero in Norvegia ha un reddito che è più del doppio del reddito medio del 10% più ricco in Nigeria.

Immaginiamo il viaggio di Ibn Battuta nel XIV secolo e pensiamo a come sarebbe apparso in quel momento il grafico della figura 1.2. Egli avrebbe notato che ovunque andava c’erano differenze tra gruppi più ricchi e più poveri della popolazione di ogni regione, ma avrebbe riferito che le differenze di reddito tra paesi erano molto meno marcate rispetto ad oggi.

Le marcate differenze di reddito tra paesi nel mondo di oggi ci riportano alla figura 1.1, che ci consente di capire che cosa è successo. I paesi che hanno avuto il loro decollo economico un secolo fa o più, come il Regno Unito, il Giappone o l’Italia, sono ricchi. Questi paesi sono, insieme ad altri, nella parte della figura con i grattacieli. I paesi che hanno avuto un decollo più recente, o che non sono decollati affatto, sono nella zona pianeggiante del grafico.

Esercizio 1.1 La diseguaglianza nel XIV secolo

Come vi immaginate che potesse presentarsi un grafico come quello della figura 1.2 ai tempi di Ibn Battuta?

Esercizio 1.2 Lavorare coi dati sul reddito

Utilizzate il grafico interattivo e scaricate il file Excel coi dati utilizzati per creare la figura 1.2. Scegliete cinque paesi a piacere.

  1. Per ciascuno calcolate il reddito medio e il rapporto 90/10 nel 1980, nel 1990 e nel 2014.
  2. Descrivete le differenze tra paesi e i cambiamenti intervenuti nel tempo.
  3. Siete in grado di fornire una spiegazione di ciò che avete osservato?

1.2 Misurare il reddito e il tenore di vita

Prodotto interno lordo (PIL)
Misura il valore di mercato della produzione di un’economia in un certo arco temporale (solitamente un anno)

Il Prodotto interno lordo (PIL) è una misura della produzione, o output, totale di un’economia in un certo periodo, solitamente un anno. La misura del tenore di vita utilizzata nella figura 1.1, il PIL pro capite, si ottiene dividendo il PIL per la popolazione del paese stesso.

Nelle parole dell’economista Diane Coyle, il PIL “somma tutto, dai chiodi agli spazzolini da denti, ai trattori, alle scarpe, alle acconciature, ai servizi di consulenza manageriale, alla pulizia delle strade, i corsi di yoga, i piatti, le bende, i libri, e milioni di altri beni e servizi prodotti di un’economia”.1

Ascoltate Diane Coyle che illustra i benefici e i limiti della misurazione del PIL.

Sommare questi milioni di beni e servizi richiede che si trovi qualche misura di quanto vale un corso di yoga rispetto ad uno spazzolino da denti. Gli economisti devono per prima cosa decidere cosa includere, ma anche come attribuire un valore a ognuna di queste cose. Il modo più semplice è utilizzare i rispettivi prezzi. Così facendo, il valore del PIL corrisponde alla somma dei redditi percepiti nel paese (trascuriamo per il momento la circostanza che alcuni individui potrebbero percepire il reddito producendo o vendendo in un paese diverso da quello in cui risiedono). Dividendo tale valore per la popolazione, abbiamo il PIL pro capite, cioè il reddito medio degli individui residenti in quel paese. Ma è un modo corretto di misurare il tenore di vita, o benessere degli individui?

Il reddito disponibile

reddito disponibile
Il reddito di un individuo o di una famiglia effettivamente disponibile per i consumi, dunque comprensivo dei trasferimenti ricevuti dallo Stato e al netto delle imposte ad esso versate.

Il PIL pro capite è una misura del reddito medio, ma non coincide con il reddito disponibile di un individuo rappresentativo della popolazione.

Il reddito disponibile è la somma degli stipendi o salari, dei profitti, delle rendite finanziarie e dei trasferimenti dal governo (per esempio la pensione o il sussidio di disoccupazione o di invalidità) o da altri (ad esempio, una donazione) ricevuti in un certo lasso di tempo, tipicamente un anno, al netto dei trasferimenti effettuati dall’individuo, incluse le imposte pagate al governo. Il reddito disponibile è considerato una buona misura del tenore di vita perché rappresenta il massimo ammontare di cibo, vestiario e altri beni e servizi che una persona è in grado di acquistare senza ricorrere a prestiti, cioè senza doversi indebitare o dover vendere qualche sua proprietà.

Il reddito disponibile rappresenta una buona misura del nostro benessere?

Il reddito ha un impatto rilevante sul benessere perché ci consente di acquistare i beni e servizi di cui abbiamo bisogno o che desideriamo, ma molti aspetti del nostro benessere non dipendono da ciò che possiamo acquistare. Per esempio, il reddito disponibile tralascia di considerare:

Reddito disponibile medio e benessere medio

Quando siamo parte di una collettività (ad esempio una nazione o un gruppo etnico), il reddito disponibile medio è una buona misura del nostro benessere? Consideriamo un gruppo di persone in cui ciascuno ha inizialmente un reddito disponibile di 5.000 $ al mese, e immaginiamo che, senza alcuna modifica nei prezzi, il reddito cresca per tutti gli individui del gruppo. In questo caso possiamo affermare che il benessere medio è aumentato.

Prendiamo però una situazione diversa: in un secondo gruppo, il reddito disponibile medio di metà dei componenti è di 10.000 $, mentre l’altra metà ha a disposizione solo 500 $ al mese. Il reddito medio nel secondo gruppo (5.250 $) è più elevato che nel primo (che era pari a 5.000 $ prima dell’aumento). Ma possiamo dire che il benessere nel secondo gruppo è maggiore che nel primo gruppo, nel quale tutti avevano un reddito di 5.000 $? Il maggiore reddito nel secondo gruppo non ha probabilmente una grande importanza per gli individui ricchi, ma la metà povera si sente certamente deprivata dalla propria situazione di povertà.

Il reddito assoluto è importante per il benessere, ma sappiamo anche dalle ricerche effettuate che le persone sono interessate anche alla loro posizione relativa nella distribuzione del reddito. Esse dichiarano un livello inferiore di benessere se scoprono di guadagnare meno degli altri nel loro gruppo di appartenenza.

Dal momento che la distribuzione del reddito influenza il benessere, e dal momento che lo stesso reddito medio può corrispondere a distribuzioni molto diverse del reddito tra ricchi e poveri nel gruppo, il reddito medio può riflettere in modo non corretto il livello di benessere materiale di un gruppo rispetto ad un altro.

Dare un valore ai beni e servizi prodotti dallo stato

Il PIL include i beni e servizi prodotti dallo stato, come l’istruzione, la difesa nazionale, e l’applicazione delle leggi, che contribuiscono al benessere ma non sono inclusi nel reddito disponibile. A questo riguardo, il PIL pro capite è una misura più adeguata del tenore di vita rispetto al reddito disponibile. È tuttavia difficile attribuire un valore ai servizi forniti dallo stato, anche più difficile rispetto a servizi come un taglio di capelli o un corso di yoga. Per i beni e servizi che le persone acquistano possiamo prendere il prezzo come misura del valore (se valutiamo un taglio di capelli meno del suo prezzo, lasceremo semplicemente crescere i capelli), ma i beni forniti dallo stato tipicamente non sono venduti, e la sola misura disponibile del loro valore è il costo di produzione.

Le differenze tra ciò che intendiamo per benessere e ciò che viene misurato dal PIL pro capite dovrebbe renderci molto cauti nell’utilizzo di questo indicatore2. Ma quando i cambiamenti nel tempo o le distanze tra paesi in fatto di PIL sono così ampie come quelle illustrate nella figura 1.1 (e più avanti in questo capitolo nelle figure 1.1-bis e figura 1.10), il PIL pro capite ci dà senza dubbio informazioni rilevanti sulle differenze nella disponibilità di beni e servizi.

Nell’Einstein in fondo al presente paragrafo analizzeremo con maggiore dettaglio come si calcola il PIL, e potremo così confrontarlo nel tempo e tra diversi paesi; molti capitoli hanno sezioni Einstein, che mostreranno come calcolare e capire le quantità statistiche che impieghiamo. Usando queste metodologie, saremo in grado di utilizzare il PIL pro capite per comunicare in modo non ambiguo concetti come “i giapponesi oggi sono in media molto più ricchi di quanto fossero 200 anni fa, e molto più ricchi di quanto non siano oggi gli abitanti dell’India”.

Esercizio 1.3 Cosa dovremmo misurare?

Il 18 marzo 1968, durante la campagna presidenziale americana, il senatore Robert Kennedy pronunciò un famoso discorso in cui metteva in discussione “la mera accumulazione di oggetti materiali” nella società americana, e si chiedeva perché, tra le altre cose, l’inquinamento, la pubblicità delle sigarette e le carceri fossero conteggiate quando si misurava il tenore di vita degli Stati Uniti, mentre la salute, l’istruzione o la devozione al paese non lo fossero. Il tenore di vita, disse, “misura tutto quanto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta”.

Leggete il suo discorso o cercate in rete una registrazione audio, e provate a rispondere alle seguenti domande.

  1. Quali beni elenca tra quelli inclusi nella misurazione del PIL?
  2. Pensi che sia giusto includere tali beni? Perché?
  3. Quali beni elenca tra quelli che mancano nella misurazione del PIL?
  4. Pensi che sarebbe giusto includerli? Perché?

Domanda 1.1 Scegliete le risposte corrette

Il PIL pro capite del Regno Unito misura:

  • il prodotto totale dell’economia di Londra.
  • il reddito disponibile medio di un cittadino britannico.
  • la produzione totale dei cittadini britannici, divisa per il loro numero.
  • la produzione totale dell’economia del Regno Unito, divisa per la popolazione del paese
  • “Pro capite” significa “a testa”, non della capitale!
  • Il reddito disponibile è il reddito di una persona (ad esempio salari, interessi sui risparmi, benefici) al netto di qualsiasi trasferimento (es. le imposte). Il PIL comprende i beni e servizi prodotti dallo stato, come la scuola, la difesa nazionale e l’amministrazione della giustizia, che non sono inclusi nel reddito disponibile.
  • Questa grandezza si chiama PNL (Prodotto Nazionale Lordo) pro capite. IL PNL è calcolato sommando al PIL la produzione effettuata dai cittadini britannici all’estero e sottraendo da essa la produzione dei cittadini stranieri residenti nel Regno Unito.
  • Questa è la definizione corretta di PIL pro capite, così come l’abbiamo illustrata nel paragrafo 1.2.

Einstein Confrontare il reddito in momenti diversi e tra paesi diversi

Le Nazioni Unite raccolgono le stime del PIL dagli istituti statistici di tutto il mondo. Sono queste stime, insieme a quelle compilate dagli storici economici, a consentirci di costruire grafici come quello della figura 1.1, che confrontano il tenore di vita tra paesi e in diversi periodi storici, e di capire se il divario tra paesi ricchi e poveri si sia ristretto o allargato. Prima di poter fare affermazioni come “in media, gli italiani sono più ricchi dei cinesi, ma il divario si sta riducendo”, gli statistici e gli economisti devono risolvere tre problemi:

  • separare ciò che vogliamo misurare — le variazioni o le differenze nelle quantità di beni e servizi — da ciò che non è rilevante per il confronto, in particolar modo le variazioni o i cambiamenti nei prezzi degli stessi beni e servizi;
  • quando confrontiamo la produzione in un paese in due momenti diversi nel tempo, è necessario tener conto delle variazioni nei prezzi intercorse nel frattempo;
  • quando confrontiamo la produzione tra due paesi nello stesso momento, è necessario tener conto delle differenze nei prezzi tra i due paesi.

Osserviamo quanto si somiglino gli ultimi due punti: misurare variazioni nella produzione nel tempo presenta problemi analoghi a quelli che incontriamo provando a confrontare due paesi diversi misurando le differenze di produzione in uno stesso momento. Il problema è trovare un insieme di prezzi da usare per il calcolo che ci consenta di identificare le differenze nella quantità di produzione, senza concludere erroneamente che il divario nella produzione tra due paesi è aumentato solo perché nel primo paese, ma non nel secondo, sono aumentati uno o più prezzi.

Il punto di partenza: il PIL nominale.

Quando stimano il valore di mercato della produzione di un’economia nel suo insieme in un certo periodo, ad esempio un anno, gli statistici usano i prezzi ai quali i beni e servizi sono venduti sul mercato. Moltiplicando le quantità di un insieme molto ampio di beni e servizi per i rispettivi prezzi, possono convertire tali quantità in unità monetarie, ovvero in termini nominali. Utilizzando i valori nominali (monetari) come unità di misura comune, le quantità possono essere sommate tra loro. Il PIL nominale è dato da

In generale:

dove è il prezzo del bene i, è la quantità del bene i, e indica la somma, estesa a tutti i beni e servizi che consideriamo.

Tener conto dei cambiamenti dei prezzi nel tempo: il PIL reale.

Per valutare se l’economia sta crescendo o si sta contraendo, abbiamo bisogno di una misura della quantità di beni e servizi acquistati: il PIL reale. Se confrontiamo l’economia in due anni successivi, e se tutte le quantità restano immutate mentre i prezzi aumentano — diciamo — del 2% da un anno all’altro, allora il PIL nominale sarà cresciuto del 2% mentre il PIL reale sarà rimasto invariato. L’economia non è cresciuta.

Dal momento che non possiamo sommare tra loro il numero di computer, scarpe, pasti al ristorante, voli, autocarri e così via, non è possibile misurare direttamente il PIL reale. Per stimare il PIL reale, dobbiamo partire dal PIL nominale. Al membro di destra dell’equazione con cui abbiamo definito il PIL nominale vi sono i prezzi di tutti i beni venduti moltiplicati per le rispettive quantità. Per capire cosa succede al PIL reale, iniziamo selezionando un anno base, per esempio l’anno 2010. Definiamo poi il PIL reale usando il prezzi 2010: in quell’anno esso sarà dunque uguale al PIL nominale. Il PIL nominale 2011 sarà calcolato usando i prezzi del 2011. Per vedere cosa è successo al PIL reale, moltiplichiamo le quantità del 2011 per i prezzi del 2010. Se, usando i prezzi dell’anno base, il PIL è cresciuto, possiamo dedurre che il PIL reale è aumentato.

prezzi costanti
Prezzi corretti per tenere conto delle variazioni nel livello dei prezzi, facendo in modo che uno stesso prezzo in diversi momenti corrisponda al medesimo potere d’acquisto. Vedi anche: parità di potere d’acquisto (PPA)

Se applicando questo metodo vedessimo che, utilizzando per il calcolo i prezzi 2010, il PIL del 2011 è lo stesso del PIL 2010, dovremmo dedurne che, pur non potendo escludere un cambiamento nella composizione della produzione (ad esempio, meno voli aerei ma più computer), la quantità complessiva di beni e servizi prodotti non è cambiata. Dovremmo cioè concludere che il PIL reale, denominato anche PIL a prezzi costanti, non è variato. Il tasso di crescita dell’economia in termini reali è stato pari a zero.

Tener conto delle differenze nei prezzi tra paesi: la parità di potere d’acquisto.

Per confrontare due paesi diversi, dobbiamo scegliere uno stesso insieme di prezzi da applicare alla produzione di entrambi. Per cominciare, immaginiamo una semplice economia che produce solo un bene, ad esempio il cappuccino (abbiamo scelto questo bene perché lo si trova, con caratteristiche simili, in molte parti del mondo e possiamo facilmente ottenere informazioni sul suo prezzo). Consideriamo in particolare due economie molto diverse quanto a livello di sviluppo: la Svezia e l’Indonesia.

Convertendo il prezzo del cappuccino applicato nei due paesi in dollari (USD) al tasso di cambio corrente, vediamo che esso costa 3,76 $ a Stoccolma e 2,71 $ a Giacarta. Ma non è sufficiente esprimere i due prezzi in una valuta comune, perché i tassi di cambio che utilizziamo per queste conversioni non ci danno una misura precisa di quanto possiamo acquistare con una rupia a Giacarta e quanto con una corona a Stoccolma.

parità di potere d’acquisto (PPA)
Un indice che, eventualmente correggendo il rapporto indicato dal tasso di cambio, permette di confrontare i prezzi in paesi diversi tenendo conto delle quantità di beni acquistabili. Vedi anche: prezzi costanti

È per questa ragione che, effettuando i confronti nel tenore di vita tra paesi, stimiamo il PIL pro capite utilizzando un insieme comune di prezzi noti come prezzi a parità di potere d’acquisto (PPA). Come il nome stesso suggerisce, l’idea è di considerare l’eguaglianza nel potere d’acquisto (in inglese l’acronimo corrispondente è PPP, che sta per Purchasing Power Parity).

I prezzi sono tipicamente più elevati nei paesi più ricchi, come nell’esempio scelto. Una ragione è che i salari sono più alti, e questo si traduce in prezzi più elevati. Visto che i prezzi dei cappuccini, dei pasti al ristorante, dei tagli di capelli, di gran parte dei cibi, dei trasporti, degli affitti e di molti altri beni e servizi sono più alti in Svezia che in Indonesia, se applicassimo gli stessi prezzi ai beni dei due paesi, la differenza nel PIL pro capite in Svezia e in Indonesia misurata a parità di potere d’acquisto sarebbe minore di quanto essa risulti effettuando il confronto con i tassi di cambio.

Ai tassi di cambio correnti, il PIL pro capite dell’Indonesia è pari soltanto al 6% di quello della Svezia; misurandolo in PPA, cioè usando prezzi standardizzati a livello internazionale, il PIL pro capite indonesiano è il 21% di quello svedese. Questo confronto mostra che il potere d’acquisto della rupia indonesiana confrontato con quello della corona svedese è più di tre volte maggiore di quanto indicato dal tasso di cambio corrente tra le due valute.

Torneremo ad affrontare in maggiore dettaglio il tema della misurazione del PIL (e di altre misure dell’economia nel suo complesso) nel Capitolo 13.

1.3 Il bastone da hockey della storia: la crescita del reddito

Se non avete mai visto un bastone da hockey su ghiaccio, ecco un’immagine che mostra perché parliamo di “curva del bastone da hockey”.

Un modo diverso per riportare i dati della figura 1.1 è quello di usare per l’asse verticale una scala logaritmica, come nella figura 1.1-bis, nella quale l’aumento da un livello sulla scala verticale al successivo rappresenta un raddoppio del PIL pro capite. La scala ordinaria è utile per confrontare i livelli di PIL pro capite tra paesi, ma la scala logaritmica è preferible se vogliamo confrontare i tassi di crescita.

Per tasso di crescita del PIL (o di una qualsiasi altra quantità, come ad esempio la popolazione) intendiamo il tasso di variazione

Se il livello del PIL pro capite nell’anno 2000 è di 21.046 $, come in effetti era nel Regno Unito nei dati mostrati nella figura 1.1, ed è di 21.567 $ nel 2001, possiamo calcolare il tasso di crescita:

Se siamo interessati a confrontare i livelli o i tassi di crescita dipende dalla domanda che ci stiamo ponendo. La figura 1.1 facilita il confronto dei livelli del PIL pro capite tra paesi e in diversi periodi storici. La figura 1.1-bis, che utilizza sull’asse verticale la scala logaritmica, consente il confronto dei tassi di crescita nei diversi paesi e in diversi periodi. Quando usiamo una scala logaritmica, una variabile che cresce ad un tasso costante (cioè in percentuale o proporzione costante), ci appare come una linea retta crescente. Una retta più ripida rappresenta su una scala logaritmica un tasso di crescita più elevato.

Per capire il punto, si pensi ad un tasso di crescita del 100%, cioè ad un raddoppio del livello. Nella figura 1.1-bis, con la scala logaritmica, quando il PIL pro capite raddoppia nell’arco di 100 anni da 500 $ a 1.000 $, la retta avrà la stessa inclinazione che ha quando esso in 100 anni raddoppia da 2.000 $ a 4.000 $ o da 16.000 $ a 32.000 $. Se il livello invece di raddoppiare quadruplicasse (diciamo da 500 $ a 2.000 $ in 100 anni), la retta avrebbe una pendenza doppia, riflettendo il fatto che la crescita è due volte più rapida.

La scala logaritmica

Si parla di scala logaritmica, o più precisamente semi-logaritmica, perché la rappresentazione grafica è ottenuta applicando alla variabile sull’asse verticale una trasformazione logaritmica. A questo proposito, è utile ricordare che la differenza tra i logaritmi di due quantità è uguale quando è uguale il rapporto tra le quantità:

Il bastone da hockey della storia

Il bastone da hockey della storia: il tenore di vita in cinque paesi negli ultimi mille anni usando la scala logaritmica.

Figura 1.1-bis Il bastone da hockey della storia: il tenore di vita in cinque paesi negli ultimi mille anni usando la scala logaritmica.

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Abbiamo pochi dati prima del 1800

Per il periodo precedente il 1800 abbiamo poche informazioni sul PIL pro capite, ed è per questo che i punti in quella parte della figura sono pochi.

Figura 1.1-bisa Per il periodo precedente il 1800 abbiamo poche informazioni sul PIL pro capite, ed è per questo che i punti in quella parte della figura sono pochi.

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Tracciamo una linea continua per unire i punti

Per ciascun paese i dati della figura precedente sono stati uniti da una linea continua. Per gli anni prima del 1800 non siamo in grado di vedere le oscillazioni del tenore di vita da un anno all’altro.

Figura 1.1-bisb Per ciascun paese i dati della figura precedente sono stati uniti da una linea continua. Per gli anni prima del 1800 non siamo in grado di vedere le oscillazioni del tenore di vita da un anno all’altro.

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La Gran Bretagna

La svolta del bastone da hockey è meno improvvisa in Gran Bretagna, dove la crescita ha avuto inizio intorno al 1650.

Figura 1.1-bisc La svolta del bastone da hockey è meno improvvisa in Gran Bretagna, dove la crescita ha avuto inizio intorno al 1650.

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Il Giappone

In Giappone il punto di svolta è più definito: ha avuto luogo intorno al 1850.

Figura 1.1-bisd In Giappone il punto di svolta è più definito: ha avuto luogo intorno al 1850.

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La Cina e l’India.

Il punto di svolta in Cine e India ha avuto luogo nella seconda metà del XX secolo. Il PIL era addirittura diminuito in India quando essa era una colonia britannica, e lo stesso era accaduto in Cina quando la sua politica e la sua economia erano sotto il controllo delle potenze europee.

Figura 1.1-bise Il punto di svolta in Cine e India ha avuto luogo nella seconda metà del XX secolo. Il PIL era addirittura diminuito in India quando essa era una colonia britannica, e lo stesso era accaduto in Cina quando la sua politica e la sua economia erano sotto il controllo delle potenze europee.

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Confrontiamo la crescita in Cina e in Giappone

La scala logaritmica ci consente di vedere che, dopo la svolta, i tassi di crescita sono stati più alti in Cina e in Giappone che altrove.

Figura 1.1-bisf La scala logaritmica ci consente di vedere che, dopo la svolta, i tassi di crescita sono stati più alti in Cina e in Giappone che altrove.

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In alcune economie, miglioramenti sostanziali nel tenore di vita della popolazione non ebbero luogo prima dell’ottenimento dell’indipendenza dalla dominazione coloniale o dall’interferenza delle nazioni europee.

Le figure 1.1 e 1.1-bis mostrano chiaramente che per lungo tempo non vi sono stati aumenti permanenti nel tenore di vita e che l’avvio della crescita sostenuta ha avuto luogo in tempi diversi e in paesi diversi, portando a differenze molto significative nel tenore di vita. Comprendere come ciò sia accaduto significa dare risposta ad una delle domande fondamentali poste dagli economisti fin dagli albori della disciplina, quando Adam Smith scrisse la sua opera più importante, intitolata Un’indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni.3

Grandi economisti Adam Smith

Viaggiò in lungo e in largo per l’Europa e visitando Tolosa, in Francia, dove a suo dire aveva molto poco da fare, iniziò a “scrivere un libro per passare il tempo”. Quel libro sarebbe diventato il più famoso trattato di economia mai scritto. In Un’indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, pubblicato nel 1776, Smith si chiedeva come potesse la società coordinare le attività indipendenti di un grande numero di attori economici — produttori, trasportatori, venditori, consumatori — che spesso non si conoscevano e svolgevano la propria attività in località diverse. La sua idea era che il coordinamento tra tutti questi attori emergesse spontaneamente, senza che fosse consapevolmente creato o mantenuto da alcuna persona o istituzione. Tale affermazione era in contrasto con l’idea, fino ad allora prevalente, che l’organizzazione politica ed economica fosse il risultato dell’ordine imposto dai governanti ai loro sudditi.

Ancora più radicale era la sua convinzione che il coordinamento potesse verificarsi come risultato della ricerca dell’interesse individuale di ciascuno. Celebre è la sua affermazione che:

“non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio, o del fornaio che ci aspettiamo di ottenere la nostra cena, ma dalla considerazione di costoro per il proprio interesse.”

In un altro passaggio della Ricchezza delle nazioni, Smith introdusse una delle più famose metafore nella storia della scienza economica, quella della mano invisibile. L’uomo d’affari, scrisse,

“mira solo al suo proprio guadagno ed è condotto da una mano invisibile … a perseguire un fine che non rientra nelle sue intenzioni. Né il fatto che tale fine non rientri sempre nelle sue intenzioni è sempre un danno per la società. Perseguendo il suo interesse, egli spesso persegue quello della società in modo molto più efficace di quando intende effettivamente perseguirlo.”

Tra le intuizioni di Smith c’è anche l’idea che una fonte durevole di prosperità sia la divisione del lavoro o specializzazione, e che questa sia a sua volta limitata dall’“estensione del mercato”. Smith illustrò questa idea con il famoso passaggio sulla fabbrica di spilli, osservando che dieci uomini, ciascuno specializzato in una o due delle diciotto distinte operazioni richieste, potevano produrre qualcosa come 50.000 spilli al giorno: “se avessero dovuto lavorare gli spilli separatamente e in modo indipendente … certamente ciascuno di loro non avrebbe potuto farne venti, o forse nemmeno uno, al giorno”. Ma un tale elevato numero di spilli poteva trovare degli acquirenti solo se venduto lontano dal luogo di produzione. Pertanto, la specializzazione era incoraggiata dalla costruzione di canali navigabili e dall’espansione del commercio estero; e la conseguente prosperità a sua volta portava ad un’espansione del mercato, in un circolo virtuoso di crescita economica.

Smith inoltre capiva che il sistema di mercato va incontro ad alcuni problemi, specialmente quando chi vende si accorda per evitare di competere:

“la gente dello stesso mestiere raramente si incontra, anche solo per divertimento e svago, senza che la conversazione finisca in una cospirazione ai danni del pubblico, o in un qualche piano per aumentare i prezzi”.

Prese di mira in particolare i monopoli protetti dal governo, come la Compagnia Britannica delle Indie Orientali, che non solo controllava il commercio tra India e Gran Bretagna, ma amministrava anche molte delle colonie britanniche in quell’area.

Condivideva coi suoi contemporanei l’idea che compiti del governo fossero la protezione della nazione dai nemici esterni e l’amministrazione della giustizia attraverso la polizia e i tribunali. Era inoltre favorevole all’investimento pubblico nell’istruzione e nelle infrastrutture quali ponti, strade e canali.

Il nome di Smith è spesso associato all’idea che la prosperità derivi dal perseguimento dell’interesse individuale sotto condizioni di libero mercato. Il suo pensiero su questo tema era tuttavia ben più ricco e articolato di quanto non si riconosca; egli non riteneva infatti che le persone fossero guidate esclusivamente dal proprio interesse. Diciassette anni prima della Ricchezza delle nazioni, nel 1759, aveva pubblicato un libro sul comportamento morale dal titolo La teoria dei sentimenti morali.4

Esercizio 1.4 I vantaggi della scala logaritmica

La figura 1.1 usa una scala convenzionale sull’asse verticale, mentre la figura 1.1-bis usa una scala logaritmica.

  1. Scegli due paesi nella figura e confronta la loro crescita dal XV secolo ad oggi, usando le informazioni fornite dalla figura.
  2. Quale figura risulta più utile per questo confronto, e perché?

Domanda 1.2 Scegliete le risposte corrette

Il PIL pro capite della Grecia (misurato in dollari) era di 22.494 $ nel 2012 e di 21.966 $ nel 2013. Basandovi su questi dati, calcolate il tasso di crescita del PIL tra il 2012 e il 2013 (approssimato fino a 2 cifre decimali):

  • −2.40%.
  • 2.35%.
  • −2.35%.
  • −0.24%.
  • Il PIL pro capite si è ridotto di 528 $. Per trovare il tasso di crescita tale valore va diviso per il PIL pro capite del 2012, cioè 22.494 $ (non per il PIL pro capite del 2013, pari a 21.966 $)
  • Il PIl pro capite della Grecia si è ridotto tra il 2012 e il 2013, e quindi il tasso di crescita è negativo.
  • Il PIL pro capite è variato di 21.966 - 22.494 = -528 $. Per trovare il tasso di crescita tale valore va diviso per il PIL pro capite del 2012, per cui: -528/22.494 = -2,35%.

  • La riduzione del PIL pro capite, pari a 528 $, è il 2,35% di 22.494 $, non lo 0,235%.

Domanda 1.3 Scegliete le risposte corrette

Se il PIL pro capite di un paese raddoppia ogni cento anni, la curva che lo rappresenta su una scala lineare e una scala (semi)logaritmica è:

  Scala lineare Scala (semi)logaritmica
A Una curva crescente con pendenza crescente (ovvero convessa) Una retta crescente
B Una retta crescente Una retta orizzontale
C Una retta crescente Una retta crescente con pendenza decrescente (ovvero concava)
D Una curva crescente convessa Una curva crescente convessa
  • A
  • B
  • C
  • D

NOTA: La scala lineare è quella “normale” in cui la distanza tra 1 e 2 e tra 2 e 3 è la stessa sull’asse y.

  • Una retta crescente su una scala (semi)logaritmica rappresenta un tasso di crescita del PIL pro capite costante. Una curva crescente convessa su una scala lineare rappresenta una situazione in cui l’aumento del PIL pro capite cresce nel tempo in termini assoluti, il che è coerente con una situazione di tasso di crescita positivo costante.
  • Una retta crescente su una scala lineare rappresenta una situazione in cui il PIL pro capite cresce di uno stesso ammontare ogni anno. Una retta orizzontale su una scala (semi)logaritmica rappresenta una situazione in cui il PIL pro capite resta costante nel tempo
  • Una retta crescente su una scala lineare rappresenta una situazione in cui il PIL pro capite cresce di uno stesso ammontare ogni anno. Una curva crescente con inclinazione decrescente su una scala (semi)logaritmica rappresenta una situazione in cui il tasso di crescita del PIL pro capite diminuisce nel tempo. Nel nostro caso, invece, il tasso di crescita è costante.
  • Una curva crescente e convessa su una scala (semi)logaritmica rappresenta una situazione in cui il tasso di crescita aumenta nel tempo. Nel nostro caso, invece, il tasso di crescita è costante.

1.4 La rivoluzione tecnologica permanente

La serie televisiva di fantascienza Star Trek è ambientata nell’anno 2264, quando si immagina che l’uomo possa viaggiare per la galassia con alieni amici e l’aiuto di computer intelligenti, propulsione che garantisce velocità superiori a quella della luce, e replicatori di materia che, a richiesta, possono creare cibo e medicine. La storia potrà sembrarci sciocca oppure affascinante, ma tutti, con un po’ di ottimismo, possiamo accarezzare l’idea che il futuro sia molto diverso dal presente: trasformato sul piano morale, sociale e materiale dal progresso tecnologico.

Nessun futuro da Star Trek attendeva i nipoti dei contadini del 1250. I successivi 500 anni sarebbero trascorsi senza alcun cambiamento apprezzabile nello standard di vita di un semplice lavoratore. Mentre i primi racconti di fantascienza sarebbero apparsi solo nel XVII secolo (il primo fu probabilmente La Nuova Atlantide di Francesco Bacone, del 1624), almeno fino al XVIII secolo nessuna generazione si sarebbe potuta attendere una vita diversa per effetto del cambiamento tecnologico.

Rivoluzione industriale
Nome dato all’insieme di avanzamenti tecnologici e innovazioni organizzative che iniziarono in Inghilterra nel XVIII secolo e trasformarono un sistema di produzione agricolo e artigianale in un’economia industriale.

Più o meno nello stesso periodo del punto di svolta del bastone da hockey in Inghilterra, a metà del XVIII secolo, si verificarono importanti progressi scientifici e tecnologici. Vennero introdotte nuove tecniche produttive in campo tessile, nella produzione di energia e nei trasporti. Il carattere cumulativo di questi eventi ha fatto sì che essi siano indicati col termine Rivoluzione industriale. Fino alla fine del XVIII secolo, la maggior parte della produzione aveva luogo con le tradizionali tecniche di produzione artigianale, che si basavano su abilità tramandate di generazione in generazione. La nuova era introdusse nuove idee, nuove scoperte, nuovi metodi e nuovi macchinari, rendendo obsolete le idee e gli strumenti utilizzati fino ad allora. A loro volta, questi nuovi modi di produrre furono resi obsoleti da altri ancor più nuovi.

tecnica
Il processo di trasformazione di materie prime e altri input, incluso il lavoro delle persone e l’utilizzo dei macchinari, in un prodotto.

Spesso nel linguaggio ordinario parlando di tecnica ci riferiamo all’insieme delle norme su cui è fondata la pratica di una certa attività, ma in economia questo termine indica il processo che utilizza un insieme di materiali e altri input — incluso il lavoro delle persone e delle macchine — per creare un prodotto. Ad esempio, la tecnica per fare un torta può essere descritta come la ricetta che specifica la combinazione di input (ingredienti come la farina, e attività come mescolare) necessari a creare un prodotto (la torta).

progresso tecnico
Un cambiamento nelle tecniche disponibili che permette di ottenere una certa quantità di prodotto utilizzando una quantità minore di input (lavoro, macchinari, terreno, energia, tempo).

Fino alla Rivoluzione industriale le tecniche disponibili, così come le competenze necessarie ad utilizzarle, venivano aggiornate lentamente, e passavano di generazione in generazione. A seguito della rivoluzione portata dal progresso tecnico, il tempo richiesto per produrre un paio di scarpe si dimezzò in soli venti anni, e lo stesso accadde per filatura e tessitura. Ciò segnò l’inizio di una rivoluzione tecnologica permanente, perché da quel momento l’ammontare di tempo richiesto per produrre la maggior parte dei prodotti è andato riducendosi generazione dopo generazione.

Il cambiamento tecnologico nell’illuminazione

Per avere un’idea del ritmo senza precedenti del cambiamento tecnologico, consideriamo il modo in cui si produce l’illuminazione. Per buona parte della storia umana i progressi nella tecnologia dell’illuminazione sono stati lenti. La migliore fonte di luce di cui disponevano i nostri più remoti antenati per la notte era un fuoco da campo. La “ricetta” per produrre la luce (se fosse stata scritta) sarebbe stata più o meno questa: metti insieme molto legname da ardere, prendi uno stecco accesso da un altro luogo dove c’è un fuoco, accendi la legna e mantieni la fiamma.

La prima grande innovazione tecnologica nel campo dell’illuminazione avvenne 40.000 fa, quando si iniziarono ad utilizzare lampade che bruciavano olii vegetali o animali. Possiamo misurare l’emissione di luce in lumen: un lumen equivale approssimativamente alla quantità di luce per metro quadro generata dal chiaro di luna, e un lumen-ora (lm-hr) corrisponde all’emissione di tale ammontare di luce per la durata di un’ora. Il progresso tecnologico si può dunque misurare considerando quanti lm-hr possono essere generati da un’ora di lavoro. Ad esempio, generando luce con un fuoco da campo si producevano circa 17 lm-hr con un’ora di lavoro, mentre le lampade con grasso animale producevano, con lo stesso ammontare di lavoro, 20 lm-hr. A Babilonia, intorno al 1750 a.C., l’invenzione di una lampada che utilizzava olio di sesamo portò a 24 lm-hr la quantità prodotta con un’ora di lavoro. Il progresso tecnologico era lento: questo piccolo miglioramento richiese 7.000 anni.

Tre millenni più tardi, all’inizio del secolo XIX, le forme più efficienti di illuminazione (che usavano candele al sego), fornivano un’illuminazione nove volte superiore a quella delle lampade a grasso animale del passato. A partire da allora l’illuminazione è diventata sempre più efficiente, con lo sviluppo delle lampade a gas e a kerosene, delle lampadine con filamento, di quelle fluorescenti e di altre forme di illuminazione. Le lampadine fluorescenti, introdotte nel 1992, sono 45.000 volte più efficienti, in termini di tempo di lavoro utilizzato, delle lampade di 200 anni fa; e la produttività del lavoro nel generare illuminazione è mezzo milione di volte maggiore di quella dei nostri antenati attorno ai loro fuochi da campo. Il grafico a forma di bastone da hockey della figura 1.3 illustra questa impressionante crescita di efficienza nell’illuminazione, utilizzando sull’asse verticale la scala logaritmica introdotta nella figura 1.1-bis.

La produttività del lavoro nella produzione di illuminazione: lm-hr per ora di lavoro (da 100.000 anni fa ad oggi).

Figura 1.3 La produttività del lavoro nella produzione di illuminazione: lm-hr per ora di lavoro (da 100.000 anni fa ad oggi).

Il caso della produttività del lavoro nell’illuminazione mostra che il processo di innovazione non si è arrestato con la Rivoluzione industriale, ma è andato avanti, con l’applicazione all’attività industriale di nuove tecnologie, come il motore a vapore, l’elettricità, i nuovi mezzi di trasporto (canali, ferrovie, automobili) e più recentemente la rivoluzione informativa nell’elaborazione e trasmissione dell’informazione. Queste tecnologie ad ampio spettro di applicazione hanno dato una spinta particolarmente forte alla crescita nel tenore di vita, cambiando il modo di funzionare di gran parte dell’economia.

Il processo continua ancora oggi. In questo video lo statistico Hans Rosling sottolinea ad esempio l’importanza della lavatrice, un apparecchio che consente di risparmiare lavoro e ha avuto effetti enormi sul benessere di milioni di donne.

Riducendo l’ammontare di ore di lavoro necessarie a produrre gli oggetti di cui abbiamo bisogno, i cambiamenti tecnologici hanno consentito una crescita significativa nel tenore di vita. Lo storico dell’economia David Landes ha definito la Rivoluzione industriale “una successione di cambiamenti tecnologici correlati gli uni agli altri” in grado di trasformare le società in cui hanno avuto luogo.5

Un mondo connesso

La canzone coreana Gangnam Style fu lanciata nel luglio 2012, e a fine anno era arrivata in cima alle classifiche degli ascolti in 33 paesi, tra i quali l’Australia, la Russia, il Canada, la Francia, la Spagna e il Regno Unito. Con 2 miliardi di visualizzazioni a metà del 2014, Gangnam Style è divenuto il video più visto su YouTube. La rivoluzione tecnologica permanente ha generato un mondo connesso. Di tale mondo tutti sono parte. Il materiale che costituisce questo testo di introduzione all’economia è stato scritto da un gruppo di economisti, disegnatori, programmatori ed editori che hanno lavorato insieme — spesso simultaneamente — davanti ai loro computer nel Regno Unito, in India, negli Stati Uniti, in Russia, in Colombia, in Sud Africa, in Cile, in Turchia, in Francia, in Italia e in molti altri paesi. Sulla rete, la trasmissione dell’informazione avviene ad una velocità prossima a quella della luce. Mentre la maggior parte dei beni commerciati nel modo si muove ancora al ritmo di una nave cargo oceanica, circa 33 km/h, le transazioni finanziarie internazionali si realizzano ad una velocità inferiore al tempo necessario per leggere questa frase.

La velocità di trasmissione dell’informazione ci dà una prova della novità rappresentata rivoluzione tecnologica permanente. Confrontando la data di un evento storico con la data in cui lo stesso evento è stato riportato in altri luoghi (in diari, bollettini o quotidiani) possiamo determinare la velocità a cui viaggiavano le notizie. Per esempio, quando nel 1860 Abramo Lincoln venne eletto presidente degli Stati Uniti, la notizia arrivò via telegrafo da Washington a Fort Kearny, che costitutiva il punto terminale della linea verso Ovest, ma oltre quel punto essa dovette viaggiare per mezzo di staffette a cavallo, chiamate Pony Express, per circa 2.013 km fino a Fort Churchill in Nevada, da cui venne trasmessa in California di nuovo mediante telegrafo. Il processo richiese sette giorni e 17 ore. Nel tratto coperto dai Pony Express, la notizia viaggiò ad una velocità di 7 miglia l’ora (11 km/h). Una lettera di mezza oncia (14 g) spedita su questo percorso veniva a costare 5 $, l’equivalente di cinque giorni di salario.

Da calcoli simili sappiamo che le notizie tra l’antica Roma e l’Egitto viaggiavano a circa 1 miglio l’ora (1,6 km/h), e 1500 anni più tardi tra Venezia e le altre città del Mediterraneo la velocità delle notizie era forse anche leggermente inferiore. Tuttavia, pochi secoli dopo, come mostrato dalla figura 1.4, la velocità cominciò ad aumentare. Nel 1857, la notizia della rivolta delle truppe indiane contro il governo britannico richiese “solo” 46 giorni per raggiungere Londra, e i lettori del quotidiano londinese Times vennero a conoscenza dell’assassinio di Lincoln solo 13 giorni dopo l’evento. Un anno dopo la morte di Lincoln, un cavo transatlantico ridusse il tempo di trasmissione delle notizie tra New York e Londra a pochi minuti.

La velocità di trasmissione dell’informazione dal 1000 al 1865.

Figura 1.4 La velocità di trasmissione dell’informazione dal 1000 al 1865.

Tabelle 15.2 e 15.3 da clark.2007

1.5 L’economia e l’ambiente

Gli esseri umani fanno da sempre affidamento sull’ambiente per le risorse di cui hanno bisogno per vivere e provvedere al proprio sostentamento: l’ambiente fisico della biosfera, cioè l’insieme di tutte le forme di vita sulla terra, fornisce ciò che è essenziale alla vita, come l’aria, l’acqua e il cibo. L’ambiente fornisce anche le materie prime che utilizziamo nella produzione di altri beni, come il legno, i metalli e il petrolio.

La figura 1.5 mostra un possibile modo di pensare all’economia, come parte di un sistema sociale più ampio, che a sua volta è parte della biosfera. Le persone, nel provvedere ai propri mezzi di sussistenza, interagiscono tra di loro e con la natura.

L’economia è parte della società, che è parte della biosfera.

Figura 1.5 L’economia è parte della società, che è parte della biosfera.

Per gran parte della sua storia, l’umanità ha guardato alle risorse naturali come a qualcosa di disponibile in quantità illimitata e a costo zero (al netto del costo di estrazione). Ma con la crescita della produzione (si vedano le figure 1.1 e 1.1-bis) sono cresciuti l’utilizzo delle risorse naturali e il degrado dell’ambiente in cui viviamo. Elementi del sistema ecologico come l’aria, l’acqua, il suolo, e il clima sono stati alterati dagli esseri umani in misura più radicale di quanto non sia mai accaduto prima nella storia umana.

L’esempio più impressionante a questo riguardo è il cambiamento climatico. I dati presentati nelle figure 1.6a e 1.6b illustrano quanto l’uso di combustibile fossile — carbone, benzina e altri derivati del petrolio — abbia inciso in profondità sul nostro ambiente naturale. Dopo che per secoli l’atmosfera terrestre era rimasta relativamente immutata, nel XX secolo le crescenti emissioni hanno provocato un aumento della quantità di CO2 presente nell’atmosfera terrestre (figura 1.6a), portando ad un percettibile incremento della temperatura media nell’emisfero boreale (figura 1.6b). La figura 1.6a mostra anche come negli ultimi 250 anni siano aumentate considerevolmente le emissioni di anidride carbonica dovute al consumo di combustibile fossile.

Esercizio 1.5 La curva di Kuznets dell’ambiente

Molti ricercatori ritengono che vi sia una relazione a U rovesciata tra reddito di un paese e degrado ambientale. Questa relazione viene spesso indicata come curva di Kuznets ambientale.

  1. Cercate informazioni sulla curva di Kuznets ambientale e spiegate con le vostre parole perché potremmo riscontrare tale relazione.
  2. Come cambierebbe la relazione se facessimo riferimento al PIL inveceche al PIL pro capite?

La figura 1.6b mostra come le temperature medie della terra siano soggette a fluttuazioni da un decennio all’altro. Ciò è dovuto ad una molteplicità di fattori, tra i quali l’attività vulcanica, come nel caso dell’eruzione del Monte Tambora, in Indonesia, nel 1815, che emise tanta polvere vulcanica da far diminuire la temperatura dell’intero pianeta e far ricordare il 1816 come “l’anno senza l’estate”.

Nell’ultimo secolo, le temperature medie sono aumentate in risposta alla concentrazione sempre più elevata di gas serra, per lo più il risultato delle emissioni associate all’utilizzo di combustibili fossili.

Anidride carbonica nell’atmosfera (1010–2010) ed emissioni globali di carbonio da combustibili fossili (1750–2010).

Figura 1.6a Anidride carbonica nell’atmosfera (1010–2010) ed emissioni globali di carbonio da combustibili fossili (1750–2010).

Anni 1010–1975: etheridge.etal.2012 Anni 1976–2010: dati dall’osservatorio di Mauna Loa. boden.etal.2010

Evoluzione di lungo periodo della temperatura dell’emisfero boreale (1000–2006).

Figura 1.6b Evoluzione di lungo periodo della temperatura dell’emisfero boreale (1000–2006).

Una fonte autorevole di dati e ricerche sul cambiamento climatico è la Commissione Intergovernativa sul Cambiamento Climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change — IPCC).

C’è ormai un ampio consenso nella comunità scientifica sul fatto che sia in atto un cambiamento climatico e che esso sia dovuto all’attività umana. Le verosimili conseguenze del riscaldamento globale sono di ampia portata: lo scioglimento delle calotte polari, l’innalzamento del livello dei mari che mette a rischio le aree costiere, le variazioni nel clima e nelle piogge che potrebbero ridurre le aree coltivate del pianeta.

Nel Capitolo 20 discuteremo le conseguenze fisiche ed economiche di lungo periodo di questi cambiamenti, e le politiche che i governi possono adottare.

Il cambiamento climatico è un fenomeno globale, ma in molti casi l’impatto ambientale ha una dimensione locale, come per gli abitanti delle città che soffrono di affezioni respiratorie e altre malattie per l’alto livello di emissioni nocive degli impianti di riscaldamento, dei veicoli e da altre fonti; ma anche le comunità rurali sono colpite, ad esempio dalla deforestazione e dall’esaurimento di risorse come l’acqua potabile e la fauna ittica. Questi effetti, da quelli globali a quelli di esaurimento delle risorse a livello locale, sono il risultato della crescita economica (illustrata dalla crescita della produzione) e del modo in cui l’economia è organizzata (a quali cose si dà valore e come tali cose sono protette). La relazione tra economia e ambiente indicata nella figura 1.5 è da intendersi nelle due direzioni: usiamo le risorse naturali per la produzione, che, a sua volta, può influenzare l’ambiente in cui viviamo e la sua capacità di garantire la produzione futura.

La rivoluzione tecnologica permanente — che ha determinato la dipendenza dal combustibile fossile — può essere anche parte della soluzione ai problemi ambientali di oggi.

Torniamo alla figura 1.3, che mostrava la produttività del lavoro nella campo dell’illuminazione: la straordinaria crescita nel corso della storia, e specialmente a partire da metà del XIX secolo, ha avuto luogo in gran parte per effetto del sensibile aumento della quantità di luce per unità di calore prodotto (per esempio nel passaggio dal fuoco da campo alla candela alla lampadina).

Nell’illuminazione, la rivoluzione tecnologica permanente ha portato a più luce ottenuta con meno calore, consentendo di risparmiare risorse naturali — dalla legna al combustibile fossile — utilizzabili per la generazione di calore. Gli avanzamenti tecnologici possono oggi consentirci lo sfruttamento del vento, dell’energia solare e di altre risorse rinnovabili di energia.

Domanda 1.4 Scegliete le risposte corrette

Quali delle seguenti variabili ha seguto una traiettoria da bastone da hockey, ovvero una crescita modesta o nulla per la maggior parte della storia, seguita da un improvviso e mercato aumento del tasso di crescita?

  • PIL pro capite.
  • Produttività del lavoro.
  • Diseguaglianza.
  • Anidride carbonica nell’atmosfera.
  • Il PIL pro capite è cresciuto poco o nulla prima della rivoluzione industriale, quando ha iniziato a crescere sempre più rapidamente.
  • La produttività del lavoro è cresciuta poco o nulla prima della rivoluzione industriale, quando ha iniziato a crescere sempre più rapidamente.
  • Non c’è una direzione chiara di evoluzione della diseguaglianza nel tempo. Mentre le prime società tribali basate sulla caccia e la raccolta erano senza dubbio quasi perfettamente egualitarie, le economie dell’era moderna hanno conosciuto grandi variazioni in direzione di una maggiore o minore diseguaglianza
  • Si veda la figura 1.6a. L’aumento della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è iniziata a metà del XIX secolo come conseguenza dell’utilizzo crescente di combustibili fossili a seguito della crescita della produzione industriale

1.6 Definire il capitalismo: proprietà privata, mercati e imprese

I dati presentati nelle figure 1.1-bis, 1.3, 1.4 e 1.6a evidenziano una svolta, corrispondente al punto in cui il nostro bastone da hockey si piega verso l’alto, nel PIL pro capite, nella produttività del lavoro (luce per ora di lavoro), nella trasmissione delle informazioni (la velocità a cui viaggiano le notizie), nella popolazione mondiale, nell’impatto dell’economia sull’ambiente (emissioni di CO2 nell’atmosfera e cambiamento climatico).

Come possiamo spiegare il passaggio da un mondo in cui le condizioni di vita potevano mutare per effetto dalle variazioni climatiche o dalle epidemie a un’era in cui ciascuna generazione ha visto quasi sempre il proprio tenore di vita migliorare in modo sensibile rispetto alla generazione precedente?

Una parte importante della risposta la possiamo trovare in ciò che chiamiamo rivoluzione capitalista: l’emergere nel XVIII secolo e la successiva diffusione a livello globale di un modo di organizzare l’economia che ora chiamiamo capitalismo. Il termine “capitalismo”, di cui daremo tra poco una definizione, non era molto in voga fino a un secolo fa, ma come potete vedere dalla figura 1.7 il suo uso si è diffuso moltissimo da allora. La figura illustra la percentuale di articoli di New York Times (calcolata escludendo le pagine sportive) che include il termine “capitalismo”.

Utilizzo del termine “capitalism” negli articoli del New York Times (1851–2015).

Figura 1.7 Utilizzo del termine “capitalism” negli articoli del New York Times (1851–2015).

Calcoli effettuati da Simon DeDeo, Santa Fe Institute, dal New York Times. 2016. ‘NYT article archive’.

capitalismo
Sistema economico il cui funzionamento si basa sulla proprietà privata, sui mercati e sulle imprese.
sistema economico
L’insieme delle istituzioni che organizzano la produzione e la distribuzione di beni e servizi in un’economia.
istituzioni
Leggi e norme sociali che regolano le interazioni degli individui nella società. Si tratta delle ‘regole del gioco’ dell’interazione sociale.

Il capitalismo è un sistema economico caratterizzato da una particolare combinazione di istituzioni. Un sistema economico è un modo di organizzare la produzione e la distribuzione dei beni e dei servizi nell’economia presa nel suo insieme. Per istituzioni intendiamo i differenti insiemi di leggi e norme sociali che regolano la produzione e la distribuzione nelle famiglie, tra operatori economici privati, nell’azione di governo.

In alcune economie del passato le istituzioni economiche chiave erano la proprietà privata (il fatto che i beni appartenessero a qualcuno), i mercati (dove si acquistano e vendono i beni) e le famiglie: i beni erano normalmente prodotti in ambito familiare invece che da imprese con proprietari e dipendenti.

In altre società, l’istituzione che controllava la produzione e decideva come i beni dovessero essere distribuiti era lo Stato. Parliamo in questo caso di sistemi a economia pianificata. Esempi di questo sistema erano l’Unione Sovietica, la Germania Est e molti paesi dell’Europa orientale prima della fine del regime comunista nei primi anni Novanta del secolo scorso.

Benché stati e famiglie rappresentino istituzioni essenziali per il funzionamento di tutte le economie, le economie di oggi sono per la maggior parte capitaliste. Vivendo in un’economia capitalista, è facile non far caso all’importanza di istituzioni che sono fondamentali per il suo buon funzionamento: esse ci risultano così familiari da passare quasi inosservate. Prima di analizzare come proprietà privata, mercati e imprese interagiscano in un’economia capitalista, dobbiamo definire queste istituzioni.

Nel corso della storia umana, la rilevanza della proprietà privata non è stata sempre la stessa. In alcune società, come quelle di caccia e raccolta dei nostri più antichi progenitori, solo gli indumenti e gli ornamenti personali erano posseduti individualmente. In altre società, il raccolto e gli animali erano proprietà privata, ma non lo era la terra: il diritto all’uso della terra era garantito alle famiglie in base ad un accordo tra i membri del gruppo, o per decisione di un capo, senza che alle famiglie fosse consentito vendere il terreno assegnato. In altri sistemi economici, la proprietà privata poteva riguardare altri esseri umani, gli schiavi.

beni capitali
Attrezzature, stabilimenti e altri input di carattere durevole (inclusi brevetti e proprietà intellettuali) usati dall’impresa per la produzione di beni o servizi. Non sono beni capitali le materie prime e i semilavorati.

In un’economia capitalista, un’importante forma di proprietà privata è quella degli impianti, degli edifici e degli altri input durevoli utilizzati nella produzione di beni e servizi, ovvero dei beni capitali.

La proprietà può essere attribuita ad un individuo, una famiglia, un’impresa o un’altra entità diversa dal settore pubblico. E vi sono cose cui attribuiamo valore che non sono oggetto di proprietà privata: si pensi all’aria che respiriamo e la gran parte delle nostre conoscenze, che non possono essere possedute, vendute o comprate.

Domanda 1.5 Scegliete le risposte corrette

Quali tra i seguenti esempi sono casi di proprietà privata?

  • I computer dell’università
  • La terra di un’azienda agricola in Unione Sovietica
  • Le azioni di una società quotata in borsa
  • Le capacità di un lavoratore
  • Benché i computer di proprietà dell’università possano essere utilizzati da molti studenti, essi sono comunque proprietà dell’università, che può escludere chi non è studente dal loro uso e condizionare l’accesso al pagamento delle tasse universitarie.
  • In Unione Sovietica la terra poteva essere trasferita ad altri dallo stato, e quindi non era proprietà privata.
  • Le azioni di una società quotata rappresentano diritti sui profitti futuri di questa; tali diritti possono esere venduti o regalati per decisione del proprietario e garantiscono un reddito da cui sono esclusi coloro che non sono azionisti
  • Sebbene la proprietà intellettuale sia una forma di proprietà privata (vostra o dell’impresa o università per la quale lavorate), le vostre capacità in generale non possono essere cedute a terzi
mercati
Mettono in relazione diversi individui permettendo loro di operare scambi mutuamente vantaggiosi di beni o servizi.

I mercati consentono il trasferimento di beni e servizi da un individuo all’altro. Ci sono altri modi di trasferire beni: attraverso il furto, o il dono, o un ordine del governo. I trasferimenti tramite i mercati differiscono da queste e da altre modalità in quanto:

Nella maggior parte dei mercati c’è concorrenza. Un venditore che applicasse un prezzo troppo elevato vedrebbe che gli acquirenti preferiscono rivolgersi ai suoi concorrenti.

Esercizio 1.6 La casetta del più povero degli uomini

Il più povero degli uomini può, nelle sua casetta, lanciare una sfida a tutte le forze della Corona. La casetta potrà essere fragile, il suo tetto traballante, il vento può attraversarla, la tempesta può entrare e può entrarvi la pioggia, ma il re d’Inghilterra non può entrare; tutte le sue forze non osano varcare la soglia di quella casetta in rovina.

— William Pitt, I Conte di Chatham. Discorso al Parlamento Inglese (1763)

  1. Cosa ci dice questo discorso sul significato della proprietà privata?
  2. Quanto affermato si applica alle abitazioni private nel vostro paese?

Esercizio 1.7 Mercati e social network

Pensate ad un social network che utilizzate, ad esempio Facebook, e rileggete la definizione di mercato. Quali sono le analogie e quali le differenze tra il social network e il mercato?

Domanda 1.6 Scegliete le risposte corrette

Quali dei seguenti esempi individuano dei mercati?

  • Razionamento degli alimenti in tempo di guerra
  • Aste on-line su eBay
  • Bagarini che vendono i biglietti fuori dalla sala concerti
  • Vendita illegale di armi
  • Il trasferimento di beni e servizi in un’economia pianificata tramite ordini del governo non è un mercato.
  • Un mercato organizzato come un’asta è comunque un mercato, nel quale il prezzo varia in risposta alle offerte invece che sulla base delle contrattazioni o di un listino
  • È comunque un mercato, anche se i beni che vi si vendono sono già stati oggetto di compravendita.
  • Un mercato illegale è pur sempre un mercato dal punto di vista economico.

La proprietà privata e i mercati, tuttavia, da soli non bastano a definire il capitalismo, visto che erano istituzioni importanti in molte società anche molto prima dell’emergere di tale sistema economico. Il terzo elemento che definisce il capitalismo, quello di origine più recente, riguarda l’impresa. Se il termine impresa è utilizzato per indicare genericamente un’attività economica organizzata al fine della produzione e scambio di beni e servizi (questa è la nozione giuridica adottata nel codice civile italiano (art. 2082), con il capitalismo acquista centralità una specifica forma di impresa

Sono normalmente organizzate in questa forma le banche, le imprese agricole con dipendenti salariati, le imprese industriali, i supermercati, i fornitori di servizi internet, e molte altre. Altri tipi di impresa, come l’impresa familiare, l’impresa non-profit, l’impresa cooperativa e l’impresa pubblica (che gestisce ad esempio il servizio idrico o la rete ferroviaria), non corrispondono alla nostra definizione di impresa capitalista, perché il loro scopo non è ottenere un profitto o perché non appartengono ad un individuo che ha la proprietà dei beni capitali dell’impresa e impiega altre persone come dipendenti.

mercato del lavoro
Un mercato nel quale i datori di lavoro offrono un salario a chi è disposto a lavorare alle loro dipendenze. In quanto domandano lavoro, i datori di lavoro rappresentano il lato domanda, mentre i lavoratori rappresentano il lato offerta di questo mercato.

Le imprese capitaliste esistevano (pur giocando un ruolo secondario) in molte economie già prima che l’arrivo del capitalismo ne facesse la forma predominante di organizzazione della produzione di beni e servizi. L’accresciuta rilevanza dell’impresa capitalista portò alla rapida espansione di un’altra istituzione il cui ruolo era limitato nei sistemi economici precedenti: il mercato del lavoro. Nel mercato del lavoro i proprietari delle imprese (o i loro manager) offrono opportunità di impiego con salari e stipendi in grado di attrarre coloro che stanno cercando un lavoro.

lato domanda
In un mercato, gli individui che offrono denaro in cambio di beni o servizi (per esempio, chi acquista pane).
lato offerta
In un mercato, gli individui che offrono un bene o servizio in cambio di denaro (per esempio, chi vende pane).

Nel linguaggio economico, i datori di lavoro sono il lato domanda (domandano lavoro) mentre i lavoratori rappresentano il lato offerta (essi offrono di lavorare sotto la direzione dei proprietari o manager dell’impresa che li hanno assunti) del mercato del lavoro.

Ciò che colpisce delle imprese capitaliste, e distingue tali istituzioni sia dalle famiglie sia dagli stati, è la rapidità con cui esse possono nascere, espandersi, contrarsi e morire. Un’impresa di successo può crescere, nel giro di pochi anni, da una realtà con pochi dipendenti ad una società che opera su scala globale con centinaia di migliaia di clienti e impiega migliaia di persone. Le imprese capitaliste possono crescere con tale rapidità perché sono in grado di aumentare i dipendenti rivolgendosi al mercato del lavoro, e di attrarre i fondi necessari a finanziare l’acquisto dei beni capitali necessari ad espandere la produzione.

Altrettanto rapidamente le imprese capitaliste possono morire, perché un’impresa che non fa profitti non avrà il denaro sufficiente a continuare ad assumere e produrre (e non troverà nessuno disposto a finanziarla). L’impresa si contrae e una parte di coloro che vi lavoravano perde il proprio impiego.

Facciamo il confronto con una fattoria a gestione familiare. Se l’attività ha successo, la famiglia sarà più ricca delle famiglie vicine ma, a meno che non si organizzi in forma di impresa capitalista, assumendo cioè altre persone che lavorino sui suoi terreni, la sua espansione sarà limitata. Se al contrario l’attività va male, la famiglia starà peggio delle famiglie vicine; ma il capofamiglia non può licenziare i propri figli il cui lavoro è diventato superfluo e, finché la famiglia ha di che sostenersi, manca un meccanismo equivalente al fallimento d’impresa che costringa a chiudere l’attività.

Qualcosa di simile vale anche per gli enti pubblici che, rispetto all’impresa capitalista, hanno una più limitata capacità di espandersi in caso di successo, e sono solitamente protetti dal rischio di fallimento se non hanno buoni risultati.

Definire il capitalismo con precisione

Nel linguaggio di tutti i giorni, la parola “capitalismo” è spesso associata a forti sentimenti positivi o negativi. Nel linguaggio dell’economia, usiamo questo termine in senso tecnico al fine di comunicare nel modo più preciso un concetto: definiamo il capitalismo come un sistema che combina le tre istituzioni menzionate, che abbiamo a loro volta definito con precisione.

Il termine “capitalismo” non si riferisce dunque ad uno specifico sistema economico, ma piuttosto ad una classe di sistemi che condividono queste caratteristiche. Il modo in cui esse si combinano tra loro e con altre istituzioni quali le famiglie e il governo, può variare in modo significativo tra un paese e l’altro. Così come il ghiaccio e il vapore sono entrambi “acqua” (elemento definito dal punto di vista chimico come composto di due atomi di idrogeno e uno di ossigeno), la Cina e gli Stati Uniti sono entrambe economie capitaliste. Eppure differiscono nel modo in cui il governo influenza l’attività economica, e in molte altre dimensioni. Ciò mostra che le definizioni nelle scienze sociali non possono sempre essere precise come lo sono nelle scienze naturali, dal momento che non è possibile ad esempio identificare il capitalismo sulla base di caratteristiche fisiche facilmente misurabili.

Qualcuno potrebbe sostenere che “il ghiaccio non è realmente acqua”, e obiettare che la definizione non rispecchia il “vero” significato del termine. Le discussioni relative al “vero” significato (specialmente quando si riferiscono a idee complesse e astratte come il capitalismo o la democrazia) tendono tuttavia a dimenticare quale sia l’utilità delle definizioni. È bene pensare alla definizione del capitalismo (come a quella dell’acqua) come ad uno strumento utile a facilitare la comunicazione più che a qualcosa che deve cogliere il “vero” significato di un oggetto o concetto.

Esercizio 1.8 Capitalismo

Tornate alla figura 1.7.

  1. Siete in grado di spiegare perché l’uso del termine capitalismo si impenna in certi momenti storici?
  2. Per quale ragione secondo voi l’uso del termine è così intenso dalla fine degli anni Ottanta?

1.7 Il capitalismo come sistema economico

La figura 1.8 mostra quale sia il rapporto tra le tre parti della definizione di sistema economico capitalista. Il cerchio a sinistra descrive un’economia composta di famiglie isolate, proprietarie dei beni capitali che utilizzano e di ciò che producono, in cui gli scambi sono ridotti al minimo.

Capitalismo: proprietà privata, mercati e impresa capitalistica.

Figura 1.8 Capitalismo: proprietà privata, mercati e impresa capitalistica.

seabright.2004

I mercati e la proprietà privata sono condizioni essenziali per l’operare dell’impresa capitalista per due ragioni:

proprietà privata
Il diritto di godere dei beni in proprio possesso nella maniera che si preferisce, di escludere chiunque altro dal loro utilizzo e di trasferirne la proprietà attraverso la donazione o la vendita. Vedi anche: diritto di proprietà

Nella storia ci sono state economie come quella rappresentata dal cerchio a sinistra, ma la loro importanza è stata molto inferiore a quelle dei sistemi caratterizzati sia dalla proprietà privata che dalla presenza di mercati, rappresentate dal cerchio centrale. La proprietà privata è condizione essenziale per il funzionamento dei mercati: gli acquirenti non saranno disposti a pagare per ciò che acquistano se non hanno il diritto di possederlo. Nel cerchio di mezzo, la produzione è effettuata per lo più da individui (per esempio calzolai o fabbri) o famiglie (per esempio nel caso di una fattoria). Prima del XVIII secolo molte economie funzionavano in questo modo.

beni capitali
Attrezzature, stabilimenti e altri input di carattere durevole (inclusi brevetti e proprietà intellettuali) usati dall’impresa per la produzione di beni o servizi. Non sono beni capitali le materie prime e i semilavorati.

La caratteristica distintiva del sistema economico capitalista è la proprietà privata dei beni capitali utilizzati nell’impresa. Altri sistemi economici hanno quale elemento distintivo la centralità della proprietà privata della terra, dell’utilizzo di schiavi, la proprietà pubblica dei beni capitali. Rispetto ai sistemi economici che l’hanno preceduto, il sistema economico capitalista differisce anche per la rilevanza che i beni capitali hanno nei processi produttivi: enormi telai meccanici hanno sostituito i filatoi di un tempo, un trattore spinge l’aratro svolgendo il lavoro che un tempo toccava al contadino con la sua zappa.

Il capitalismo è un sistema che combina decentramento e centralizzazione. Esso concentra il potere nelle mani dei proprietari e dei manager delle imprese, che possono così coordinare e far cooperare nel processo produttivo un numero elevato di dipendenti. Ma allo stesso tempo limita il potere del governo e dei vari attori nella misura in cui essi, per vendere o comprare, devono affrontare la concorrenza. Pertanto, quando il proprietario interagisce con un dipendente, egli è “il padrone”. Quando però lo stesso proprietario interagisce con un potenziale cliente è semplicemente uno dei tanti in competizione per vendere il proprio prodotto. È questa peculiare combinazione di concorrenza tra imprese e concentrazione di potere e cooperazione all’interno di esse che spiega il successo del capitalismo come sistema economico.

In che modo il capitalismo porta ad una crescita del tenore di vita?

L’emergere del capitalismo è stato accompagnato da due fattori, causa entrambi di un aumento della produttività dei lavoratori:

Tecnologia

Come abbiamo visto, la rivoluzione tecnologica permanente ha coinciso con l’affermazione dell’impresa quale forma predominante di organizzazione della produzione. Ciò non significa necessariamente che le imprese capitaliste siano state la causa del cambiamento tecnologico, ma la concorrenza tra imprese sul mercato ha incentivato fortemente l’adozione e lo sviluppo di nuove e più produttive tecnologie, e l’investimento in beni capitali ben al di là di quello che sarebbe stato possibile nell’ambito di piccole imprese familiari.

Specializzazione

La crescita di imprese che impiegano un elevato numero di lavoratori e l’espansione del mercato fino ad unire il mondo intero nel processo di scambio ha consentito una specializzazione senza precedenti nei compiti svolti dai lavoratori e nei prodotti. Nel prossimo paragrafo vedremo come anche essa abbia contribuito ad aumentare la produttività del lavoro e il tenore di vita.

Esercizio 1.9 Impresa capitalista o no?

Facendo riferimento alla definizione, si consideri se ciascuna delle entità di seguito elencate è un’impresa capitalista (nel dubbio potete cercare on-line informazioni su ciascuna di esse):

  1. John Lewis (UK)
  2. una fattoria a conduzione familiare in Vietnam
  3. il vostro medico di base
  4. Walmart (USA)
  5. una nave pirata del XVIII secolo (v. Capitolo 5 per una descrizione del Royal Rover)
  6. Google (USA)
  7. il Manchester United plc (UK)
  8. Wikipedia

1.8 I vantaggi della specializzazione

Capitalismo e specializzazione

Guardiamo gli oggetti che ci circondano, i vestiti che indossiamo o qualsiasi altra cosa che possiamo vedere da dove siamo seduti. Conosciamo chi li ha fatti?

Ora immaginiamo di essere nel 1776, l’anno in cui Adam Smith scrisse La ricchezza delle nazioni. La stessa domanda, a seconda di dove ci trovassimo nel mondo, avrebbe avuto risposte ben diverse. A quel tempo, molte famiglie producevano direttamente un ampia parte dei beni che consumavano e utilizzavano, dai prodotti dell’orto alla carne, al vestiario e persino gli utensili. Molti degli oggetti che avremmo avuto attorno ai tempi di Adam Smith sarebbero stati prodotti nell’ambito della famiglia o del villaggio.

Uno dei cambiamenti già in corso ai tempi di Adam Smith e molto accelerato da allora è la crescente specializzazione nella produzione di beni e servizi. Come spiega lo stesso Smith, la nostra capacità di produrre aumenta quando ciascuno di noi si concentra su un insieme limitato di attività. Questo per tre ragioni:

economie di scala
Si hanno quando, aumentando in una certa proporzione la quantità dei fattori di produzione, il prodotto aumenta più che proporzionalmente. L’effetto delle economie di scala è quello di ridurre il costo medio di produzione. Vedi anche: diseconomie di scala

A causa dei vantaggi derivanti dal fatto di concentrarsi su pochi compiti o prodotti, le persone solitamente non producono tutti i beni e servizi che usano o consumano nella loro vita di tutti i giorni, ma si specializzano, producendo beni diversi e svolgendo lavori diversi: saldatori, insegnanti o agricoltori.

Tuttavia, la specializzazione ha luogo solo se c’è un modo per acquistare gli altri beni di cui ciascuno ha bisogno. Per questa ragione, la specializzazione — detta anche divisione del lavoro — pone alla società un problema: come redistribuire i beni e servizi prodotti da chi li produce a chi li consuma. Nel corso della storia umana, tale problema si è risolto in molti modi diversi: dalla requisizione e redistribuzione diretta da parte del governo, come è accaduto in molti paesi durante la Seconda Guerra Mondiale, al dono e condivisione volontaria, come avviene anche oggi nelle famiglie e come era costume fare anche tra famiglie diverse nelle società dei nostri antenati che vivevano di caccia e raccolta. Il capitalismo ha incoraggiato la specializzazione aumentando l’importanza dei mercati e delle imprese.

C’è specializzazione anche nell’ambito della pubblica amministrazione e nelle famiglie, dove spesso chi fa cosa dipende dall’età e dal sesso. Qui ci occupiamo della divisione del lavoro nelle imprese e nei mercati.

La divisione del lavoro nelle imprese

La ricchezza delle nazioni di Adam Smith inizia con la seguente affermazione:

“La causa principale del progresso nelle capacità produttive del lavoro, nonché della maggior parte dell’arte, destrezza e intelligenza con cui il lavoro viene svolto e diretto, sembra sia stata la divisione del lavoro.”

L’esempio è quello di una fabbrica di spilli, nella quale la specializzazione dei compiti tra gli operai ha consentito di raggiungere un livello di produttività — misurata dalla quantità di spilli prodotti in un giorno — che a Smith appare straordinaria. Le imprese sono oggi in grado di impiegare migliaia o addirittura centinaia di migliaia di individui, la maggior parte dei quali destinati a compiti e mansioni specializzate sotto la direzione dei proprietari o dei manager dell’impresa. Questa descrizione dell’impresa ne sottolinea la natura gerarchica, ma possiamo pensare all’impresa anche come una modalità organizzativa che consente ad un elevato numero di persone, ciascuna con specifiche abilità e capacità, di contribuire ad un obiettivo comune, la produzione di un bene. L’impresa facilita cioè una certo tipo di cooperazione tra produttori specializzati che ne aumenta la produttività. Torneremo su questo tema nel Capitolo 6.

Mercati, specializzazione e vantaggi comparati

Nel Capitolo 3 della Ricchezza delle nazioni, che ha per titolo “La divisione del lavoro è limitata dall’ampiezza del mercato”, si spiega che:

“Quando il mercato è molto ristretto non esistono incentivi a dedicarsi esclusivamente a una singola occupazione, non essendoci la possibilità di scambiare tutta la parte in sovrappiù del prodotto del proprio lavoro che eccede il consumo con le parti del prodotto degli altri uomini delle quali si ha bisogno.”

Sentendo la parola “mercato” quale altro termine ci viene in mente? Probabilmente “concorrenza”, e tale associazione è corretta. Potremmo però associarvi anche il termine “cooperazione”, perché i mercati ci consentono di coordinarci nel perseguimento dei nostri personali obiettivi, e di produrre e distribuire beni e servizi in un modo che, sebbene sia lungi dall’essere perfetto, è spesso migliore delle alternative.

I mercati consentono di ottenere un risultato straordinario: la cooperazione involontaria su larga scala. Chi ha prodotto il nostro telefonino non ci conosce e non è interessato a noi; che sia lui e non noi a produrre il telefono dipende dal fatto che lui sa farlo meglio di noi; e noi abbiamo il nostro telefono perché lo abbiamo pagato, consentendo a chi lo ha prodotto di acquistare a sua volta ciò di cui ha bisogno, che è prodotto da persone a lui totalmente estranee.

È possibile illustrare, attraverso un semplice esempio, come i mercati consentano la specializzazione a persone con una diversa capacità di produrre beni differenti. L’esempio illustra un risultato sorprendente: tutti i produttori traggono beneficio dalla specializzazione e lo scambio, anche quando ciò implica che un produttore si specializzi nella produzione di in un bene che qualcun altro potrebbe produrre ad un costo inferiore.

Immaginiamo un mondo in cui vi sono solo due individui, Greta e Carlos, ciascuno dei quali per vivere necessita soltanto di due beni, mele e grano. I due individui hanno una diversa produttività: se Greta impiegasse tutto il suo tempo, diciamo 2.000 ore, nella produzione di mele, ne produrrebbe 1.250 in un anno; se si dedicasse invece esclusivamente alla produzione di grano, sarebbe in grado di produrne 50 tonnellate all’anno. Carlos ha a disposizione un terreno meno fertile per la produzione di entrambi i prodotti: se dedicasse tutto il suo tempo (lo stesso di Greta) per le mele la sua produzione sarebbe di 1.000 mele all’anno, mentre dedicandosi interamente al grano ne produrrebbe 20 tonnellate all’anno. Riassumiamo questi dati nella tabella 1.1.

  Produzione se il 100% del tempo è dedicato alla produzione di un solo bene
Greta 1250 mele o 50 tonnellate di grano
Carlos 1000 mele o 20 tonnellate di grano

Vantaggio assoluto e comparato nella produzione di mele e grano.

Tabella 1.1 Vantaggio assoluto e comparato nella produzione di mele e grano.

Benché la terra di Carlos sia di peggiore qualità per la produzione di entrambi i beni, il suo svantaggio è inferiore, relativamente a Greta, nella produzione di mele rispetto a quella di grano. Greta può infatti produrre una quantità due volte e mezzo maggiore di grano ma solo il 25% in più di mele.

vantaggio assoluto
Un individuo (o un Paese) ha un vantaggio assoluto nella produzione di un bene se per ottenere una certa quantità di prodotto utilizza una quantità di input minore di quella necessaria a un altro individuo (o Paese). Vedi anche: vantaggio comparato

Gli economisti distinguono a questo riguardo tra vantaggio assoluto e vantaggio comparato nella produzione. Rispetto a Carlos, Greta ha un vantaggio assoluto nella produzione di entrambi i beni, visto che può produrre una quantità maggiore sia di mele che di grano.

vantaggio comparato
Quando il rapporto tra il costo di produzione di un bene e il costo di produzione di un altro bene è minore per un individuo (o Paese) che per un altro, il primo ha un vantaggio comparato nella produzione di quel bene. Vedi anche: vantaggio assoluto

Greta ha anche un vantaggio comparato nella produzione di grano, ma Carlos ha un vantaggio comparato nella produzione di mele. Benché Greta sia più produttiva, Carlos è meno svantaggiato nella produzione di mele.

Ipotizziamo che inizialmente Greta e Carlos non siano in grado di effettuare scambi di beni. Ciascuno deve garantirsi l’autosufficienza, consumando ciò che produce, e quindi ciascuno produrrà entrambi i beni per sopravvivere. Mettiamo che Greta scelga di impiegare il 40% del suo tempo nella produzione di mele e il resto nella produzione di grano. La colonna 1 della tabella 1.2 mostra che in questo caso ella produrrà e consumerà 500 mele e 30 tonnellate di grano. Viene riportato anche il consumo di Carlo, che sceglie di impiegare il 30% del suo tempo nella produzione di mele e il restante 70% nella produzione di grano.

Supponiamo ora che vi sia la possibilità di vendere e comprare mele e grano sul mercato, e che sia possibile acquistare 40 mele al prezzo di una tonnellata di grano. Se Greta si specializza producendo soltanto grano e rinunciando a produrre mele, la sua produzione è di 50 tonnellate; se Carlo si specializza nella produzione di mele, la produzione complessiva risulta maggiore rispetto al caso di autosufficienza (colonna 2). Ciò consente a ciascuno di vendere parte della produzione sul mercato per acquistare la quantità desiderata del bene prodotto dall’altro.

Per esempio, se Greta vendesse 15 tonnellate di grano (colonna 3) per acquistare 600 mele, potrebbe consumare una maggiore quantità di grano e mele rispetto al caso precedente (colonna 4). La tabella mostra che l’acquisto di 15 tonnellate di grano di Greta in cambio delle 600 mele consentirebbe anche a Carlos di consumare una maggiore quantità di entrambi i beni rispetto a quanto era possibile senza specializzazione e scambio.

Autosufficienza Completa specializzazione e scambio
Produzione Scambio Consumo
1 2 3 4
Greta Mele 500 0 600
Grano 30 50 = 15 + 35
Carlos Mele 300 1000 = 600 + 400
Grano 14 0 15
Totale Mele 800 1000 600 1000
Grano 44 50 15 50

Confronto tra autosufficienza e specializzazione.

Tabella 1.2 Confronto tra autosufficienza e specializzazione.

Nel nostro esempio abbiamo ipotizzato che il prezzo di mercato consentisse di scambiare una tonnellata di grano con 40 mele. Nei capitoli 7-12 studieremo come funzionano i mercati, ma l’Esercizio 1.10 mostra che questa nostra ipotesi non è cruciale ai fini della conclusione: ci sono altri prezzi che consentono a Greta e Carlos di trarre beneficio dallo scambio.

Sia Greta che Carlos hanno tratto beneficio dalla possibilità di effettuare scambi, cioè dall’esistenza di un mercato delle mele e di un mercato del grano. Ciò perché la specializzazione nella produzione di un solo bene ha aumentato la quantità totale prodotta di ciascuno dei due beni, da 800 a 1000 mele e da 44 a 50 tonnellate di grano. La conclusione sorprendente che avevamo anticipato è che Greta acquista 600 mele da Carlos anche se per lei il costo di produrre mele (misurato in ore di lavoro) è inferiore che per Carlos. A Greta conviene impiegare interamente il suo tempo per produrre grano perché sebbene ella abbia un vantaggio assoluto nella produzione di entrambi i beni, Carlos ha un vantaggio comparato nella produzione di mele.

I mercati contribuiscono ad aumentare la produttività del lavoro consentendo alle persone di specializzarsi nella produzione dei beni per i quali hanno un vantaggio comparato, ovvero per i quali come produttori essi risultano essere, parlando in termini relativi, il “meno peggio”. Ciò contribuisce a spiegare il perché della forma del bastone da hockey.

Esercizio 1.10 Mele e grano

Supponiamo che i prezzi di mercato consentano lo scambio di 35 mele con una tonnellata di grano.

  1. Se Greta vendesse 16 tonnellate di grano, sarebbe ancora vero che lo scambio avvantaggia entrambi?
  2. Cosa accadrebbe se al prezzo di una tonnellata di grano si potessero acquistare solo 20 mele?

1.9 Il capitalismo come causa della svolta nel bastone da hockey

Abbiamo visto che le istituzioni che caratterizzano il capitalismo possono migliorare le condizioni materiali delle persone per effetto della specializzazione e dell’introduzione di nuove tecniche produttive, e che l’avvento della rivoluzione tecnologica permanente ha coinciso con l’emergere del capitalismo. Ma basta questo per concludere che il capitalismo è la causa della svolta nel bastone da hockey?

È giusto essere scettici quando sentiamo affermare che qualcosa di complesso (il capitalismo) “causa” qualcos’altro (la crescita del tenore di vita, lo sviluppo tecnologico, un mondo integrato, o i problemi ambientali). Da un punto di vista scientifico, possiamo affermare che X causa Y comprendendo la relazione tra causa (X) ed effetto (Y) ed effettuando esperimenti che, misurando X e Y, ci forniscono una prova empirica di tale relazione causale.

causalità
L’esistenza di un rapporto causa-effetto tra due fenomeni, provata dimostrando che la variazione di una variabile X è dovuta alla precedente variazione di una variabile Y. La causalità è un nesso più forte della semplice correlazione tra le due variabili, che si ha quando le loro variazioni seguono un andamento comune. Vedi anche: esperimento naturale, correlazione

Stabilire nessi di causalità in economia è necessario non solo per comprendere perché certe cose siano accadute, ma anche per trovare modi per cambiare le cose in meglio. L’idea di un nesso causale tra una certa politica X e un effetto Y è implicita in molte affermazioni degli economisti, come ad esempio l’indicazione che “se una banca centrale riduce il tasso di interesse, vi sarà un aumento negli acquisti di case e automobili”. Ma un’economia è fatta di interazioni tra milioni di persone; non possiamo certo misurare e comprenderle tutte, ed è molto raro che si possano raccogliere dati effettuando un esperimento (nel Capitolo 4) forniremo tuttavia degli esempi di come si possano realizzare esperimenti anche in economia). Come possono dunque gli economisti formulare conclusioni scientifiche? Questo esempio illustra come ciò che osserviamo attorno a noi possa aiutarci ad individuare cause ed effetti.

Come gli economisti imparano dai fatti Le istituzioni sono importanti per la crescita del reddito?

Il capitalismo si è affermato nello stesso periodo, o subito prima, della Rivoluzione industriale e del punto di svolta del nostro bastone da hockey. Questo dato sarebbe coerente con l’ipotesi che le istituzioni capitaliste furono tra le cause della nuova era di crescita continua della produttività. Ma l’emergere di un contesto culturale improntato al libero pensiero, l’Illuminismo, coincide anch’esso con il punto di svolta, o comunque lo anticipa di poco. Possiamo dunque domandarci se siano state le istituzioni o la cultura (o magari entrambe le cose, o altro ancora) le cause del cambiamento. Come vedremo nel Capitolo 2, economisti e storici non sono d’accordo sulla risposta da dare a questa domanda con riferimento alla Rivoluzione industriale.

Gli studiosi di tutte le discipline provano a ridurre i margini di disaccordo guardando ai fatti. Per domande complicate, come quella se le istituzioni abbiano importanza dal punto di vista economica, i fatti possono fornire informazioni sufficienti a raggiungere una conclusione.

Anche qualora potessimo effettuare un esperimento controllato su un’intera popolazione, non potremmo comunque modificare il passato. È per questo che dobbiamo affidarci a dei cosiddetti esperimenti naturali.

Diamond, J. e J. A. Robinson (2014), Natural Experiments of History, Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge (MA) (trad. it. Esperimenti naturali di storia, Codice, Torino, 2017).

esperimento naturale
Uno studio empirico che sfrutta l’esistenza di un gruppo controllo determinatosi per effetto di condizioni naturali o storiche. Le differenze nelle legislazioni, nelle politiche, nel clima o in altri fenomeni offrono la possibilità di analizzare gruppi o popolazioni diverse come se fossero parte di un esperimento. La validità di questi studi dipende dal presupposto che la suddivisione dei soggetti nel gruppo di controllo sia casuale.

Un modo per imparare dai fatti è ricorrere ad un esperimento naturale, ovvero attraverso il confronto di situazioni diverse che siano simili fra loro sotto molti aspetti ma che differiscano in relazione ai fattori dei quali si vuole studiare l’influenza.

La divisione della Germania, alla fine della Seconda guerra mondiale, in due sistemi economici separati — uno centralmente pianificato a Est, l’altro capitalista a Ovest — rappresenta uno di tali esperimenti naturali. La “cortina di ferro”, come la battezzò il primo ministro britannico Winston Churchill, che divideva le due Germanie, separava due popolazioni che condividevano la stessa lingua, cultura e organizzazione economica.7

Nel 1936, prima della Seconda guerra mondiale, il tenore di vita in quelle che sarebbero più tardi diventate la Germania Est e la Germania Ovest era il medesimo. Prima della guerra, le imprese della Sassonia e della Turingia erano leader mondiali nella produzioni di automobili e aerei, nel settore chimico, nell’ottica e nell’ingegneria di precisione.

Con l’introduzione della pianificazione centralizzata nella Germania Est, la proprietà privata, i mercati e le imprese capitaliste praticamente scomparvero. Le decisioni su cosa, quanto e in quali impianti (uffici, miniere e fattorie) produrre, venivano prese non da imprenditori privati, ma da funzionari del governo. Questi, nella gestione dell’attività produttiva, non avevano bisogno di rispettare le regole dell’economia capitalista producendo beni e servizi che i clienti avrebbero acquistato a prezzi maggiori dei costi. La Germania Ovest rimase invece un’economia capitalista.

Nel 1958 il Partito Comunista della Germania Est aveva previsto che entro il 1961 il benessere materiale avrebbe superato quello della Germania Ovest. Il non avverarsi di questa previsione fu probabilmente uno dei motivi per cui nel 1961 si decise di edificare il muro di Berlino, che separava Est e Ovest. Quando alla caduta del muro, nel 1989, la Germania Est abbandonò la pianificazione centralizzata, il suo PIL pro capite era meno della metà di quello della Germania Ovest capitalista. La figura 1.9 mostra (utilizzando la scala logaritmica) i differenti sentieri di crescita delle due economie, e di altri paesi, dopo il 1950.

Il PIL pro capite della Germania Ovest è cresciuto più velocemente di quello della Germania Este nel periodo 1950-89.

Figura 1.9 Le due germanie: pianificazione e capitalismo (1950-89).

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Osservando la figura 1.9 notiamo che, nonostante prima della guerra, nel 1936, il tenore di vita fosse pressoché identico a Est e a Ovest, la Germania Ovest partiva nel 1950 da una situazione più favorevole rispetto alla Germania Est. Entrambe le aree si erano industrializzate con successo. La ragione della maggiore debolezza della Germania Est non era dovuta tanto ad una differente dotazione di capitale o di capacità disponibili in termini pro capite, quanto al fatto che la divisione ne aveva compromesso la struttura industriale in misura maggiore rispetto alla Germania Ovest.

  • Berghoff, H. e U. A. Balbier (2013), “From centrally planned economy to capitalist avant-garde? The creation, collapse, and transformation of a socialist economy”, in The East German Economy, 1945-2010: Falling behind or Catching Up?, a cura di H. Berghoff e U. A. Balbier, Cambridge University Press, Cambridge (UK).

Diversamente da altre economie capitaliste, che avevano livelli anche inferiori di PIL pro capite nel 1950, l’economia pianificata della Germania Est non riuscì a recuperare terreno rispetto a leader mondiali, tra i quali la stessa Germania Ovest. Nel 1989, l’economia giapponese (che aveva anch’essa subito danni pesanti per la guerra), con la sua particolare combinazione di proprietà privata, mercati e imprese, e con un forte ruolo di coordinamento del governo, aveva raggiunto la Germania Ovest, e la Spagna aveva colmato parte del divario di partenza.

L’esperimento naturale tedesco non è sufficiente per concludere che il capitalismo promuova sempre una crescita rapida e che la pianificazione centrale sia sempre una ricetta per la stagnazione. Ciò che possiamo desumere è qualcosa di più limitato: durante la seconda metà del XX secolo, le divergenze nelle istituzioni economiche sono state determinanti per il benessere materiale della popolazione tedesca.

1.10 Varietà di capitalismi: istituzioni, governi ed economia

Non tutti i paesi capitalisti corrispondono alla storia di successo esemplificata nella figura 1.1 dall’Inghilterra, o più tardi dal Giappone e dagli altri paesi che hanno raggiunto il medesimo livello di sviluppo economico. La figura 1.10 illustra la sorte di un gruppo selezionato di paesi nel XX secolo. Alcuni ricercatori dubitano della validità delle stime di lungo periodo del PIL fuori dall’Europa, anche per via della differenza strutturale tra le economiche. Questi dati sono tuttavia interessanti: mostrano, ad esempio, come in Africa al successo del Botswana nell’ottenere una crescita sostenuta faccia da contrasto il cattivo risultato della Nigeria. Entrambi i paesi sono ricchi di risorse naturali (i diamanti in Botswana, il petrolio in Nigeria) e sono quindi le differenze nella qualità delle rispettive istituzioni — per esempio il livello della corruzione e il cattivo utilizzo delle risorse pubbliche — che possono spiegare una tale divergenza di traiettorie.

La migliore performance nella figura 1.10 è certamente quella della Corea del Sud. Nel 1950 il suo PIL pro capite era lo stesso della Nigeria, ma nel 2013 risulta essere superiore di ben dieci volte rispetto a quello del Paese africano.

Il decollo della Corea del Sud ha avuto luogo in presenza di istituzioni e politiche molto diverse da quelle prevalenti in Inghilterra nel XVIII e XIX secolo: la differenza principale è il ruolo svolto dello Stato (insieme ad alcune grandi società private) nel dirigere il processo di sviluppo coreano, promuovendo direttamente la crescita di alcune industrie, spingendo le imprese a competere sui mercati esteri e anche fornendo istruzione di alta qualità alla forza lavoro del paese. Il termine inglese developmental state (Stato orientato allo sviluppo) è stato applicato al caso coreano per indicare il ruolo di guida svolto dallo Stato nel decollo economico di un paese, ed è ora utilizzato in tutti i casi analoghi di impegno pubblico nell’economia, come ad esempio il Giappone e la Cina.

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Divergenza nel PIL pro capite dei paesi nei quali la rivoluzione capitalista è arrivata tardi (1928–2015).

Figura 1.10 Divergenza nel PIL pro capite dei paesi nei quali la rivoluzione capitalista è arrivata tardi (1928–2015).

Nella figura 1.10 vediamo anche che nel 1928, quando l’Unione Sovietica adottò il suo primo piano quinquennale, il suo PIL pro capite era pari a un decimo di quello dell’Argentina, vicino a quello del Brasile e ben più alto di quello della Corea del Sud. La pianificazione centralizzata in Unione Sovietica produsse una crescita stabile, seppure non impressionante, per quasi 50 anni. Il PIL pro capite dell’Unione Sovietica staccò quello brasiliano di un ampio margine e, poco prima della fine del regime comunista nel 1990, superò addirittura quello dell’Argentina.

Alcuni ricercatori mettono in discussione la validità delle serie storiche sul PIL dei paesi fuori dell’Europa, per via della diversità strutturale di queste economie.

Il confronto tra Germania Ovest ed Est analizzato in precedenza dimostra che una delle ragioni per cui la pianificazione centralizzata è stata abbandonata come sistema economico è stata la sua incapacità, nell’ultimo quarto del XX secolo, di assicurare gli stessi miglioramenti nel tenore di vita ottenuti da alcune economie capitaliste. Tuttavia, possiamo dire che nemmeno il tipo di capitalismo che ha rimpiazzato la pianificazione centralizzata nei paesi un tempo parte dell’Unione Sovietica ha ottenuto grandi risultati. Questo è evidente dalla notevole caduta del PIL pro capite per i paesi dell’ex Unione Sovietica dopo il 1990.

Quando il capitalismo risulta dinamico

Il ritardo di alcune economie indicato dalla figura 1.10 dimostra che l’esistenza di istituzioni capitaliste di per sé non è sufficiente a creare un’economia dinamica, ovvero un’economia che porta ad una crescita sostenuta delle condizioni materiali di vita. Al dinamismo di un sistema economico capitalista contribuiscono condizioni sia economiche che politiche (queste ultime relativa al funzionamento dell’attività di governo).

Condizioni economiche

Un capitalismo può essere poco dinamico per le seguenti ragioni:8 9

La combinazione dei tre elementi di debolezza indicati, relativi alle tre istituzioni di base del capitalismo, implica che gli individui e i gruppi spesso abbiano più da guadagnare spendendo tempo e risorse per influenzare a proprio favore il potere politico, per svolgere attività criminose, o in altre attività volte ad orientare a proprio favore la distribuzione del reddito; ciò distoglie energie dalla creazione di valore economico.10

Quando al contrario le istituzioni funzionano correttamente, per cui la proprietà è sicura, i mercati sono concorrenziali e le imprese sono guidate da chi ha la capacità di farlo, il capitalismo mostra tutto il suo potenziale: è il primo sistema economico nella storia umana nel quale l’appartenenza all’élite dipende dal conseguimento del successo in campo economico.

Come proprietario di un’impresa, se fallisci non sei più parte del club. Non c’è bisogno che qualcuno ti cacci via: farai semplicemente fallimento. Una caratteristica importante della disciplina del mercato — devi produrre beni di buona qualità a condizioni profittevoli o fallisci — è che, laddove funziona correttamente, essa opera in modo automatico; avere un amico potente non garantisce di poter continuare l’attività. La stessa disciplina si applica alle imprese e agli individui nell’impresa: chi perde, perde veramente. La concorrenza di mercato fornisce un meccanismo per liberarsi di chi non è all’altezza.

Pensiamo a quanto un sistema del genere sia diverso da altri sistemi economici. Il signore feudale che gestiva male la sua proprietà, per quanto potesse impoverirsi, era comunque un membro della nobiltà. Il proprietario di un’impresa che non è in grado di produrre beni che la gente acquisti ad un prezzo tale da coprire i costi, fallisce, e un proprietario fallito è un ex proprietario.

Naturalmente, se sono molto ricchi e hanno anche buoni rapporti politici, i proprietari e i manager di un’impresa capitalista possono restare in sella, e le loro imprese rimanere sul mercato, molto a lungo, magari per generazioni. I perdenti a volte sopravvivono. Ma non c’è alcuna garanzia a riguardo: stare al passo con la concorrenza richiede capacità di innovare continuamente.

Condizioni politiche

Anche il ruolo dello Stato è importante. Abbiamo visto come in alcune economia — ad esempio la Corea del Sud — lo Stato abbia giocato un ruolo di guida nella rivoluzione capitalista, e in tutte le economie capitaliste moderne lo Stato ha un ruolo importante. Ma anche quando tale ruolo è più limitato, come ad esempio in Gran Bretagna ai tempi del suo decollo industriale, esso ha comunque un ruolo nel garantire il rispetto delle legge e nel regolare l’attività economica, influenzandone il funzionamento. I mercati, la proprietà privata e le imprese sono istituzioni regolate dalle leggi e dalle politiche pubbliche.

Perché gli innovatori assumano il rischio di introdurre nuovi prodotti o processi produttivi, la loro capacità di appropriarsi dei risultanti profitti deve essere protetta da un sistema legale ben funzionante. È lo Stato che risolve le dispute sulla proprietà e garantisce il rispetto dei relativi diritti, condizione per il funzionamento del mercato.

monopolio
Si ha un monopolio quando un’impresa è l’unica a vendere un prodotto per il quale non esistono sostituti stretti. Un mercato monopolistico è un mercato con un solo venditore. Vedi anche: potere di mercato, monopolio naturale, mercato monopolistico

Tuttavia, come sottolineato già da Adam Smith, creando posizioni di monopolio come la Compagnia delle Indie Orientali, lo Stato può anche limitare la forza della concorrenza. Se una grande impresa può stabilire un monopolio escludendo tutti i suoi concorrenti, o se un gruppo di imprese riesce a colludere per tenere alti i prezzi, l’incentivo a innovare e la disciplina del rischio di fallimento saranno attenuati. Lo stesso vale, nelle economie moderne, quando certe banche o imprese sono considerate troppo grandi per fallire (too big to fail) e vengono salvate dal governo quando c’è il rischio che vadano incontro al fallimento.

Oltre a fornire un ambiente favorevole alle istituzioni del sistema economico capitalista, lo Stato fornisce le infrastrutture fisiche, l’istruzione, la difesa nazionale, e altri beni e servizi essenziali. Nei capitoli successivi studieremo perché è ragionevole dal punto di vista economico che il governo metta in atto politiche finalizzate alla tutela della concorrenza, alla protezione dell’ambiente, ad una migliore distribuzione del reddito, all’aumento dell’occupazione e al controllo dell’inflazione.

In sintesi, il capitalismo può essere un sistema economico dinamico quando è in grado di combinare:

rivoluzione capitalista
Il verificarsi di repentine innovazioni tecnologiche unite alla progressiva affermazione di un nuovo sistema economico.

L’insieme di queste condizioni realizza quella che abbiamo chiamato la rivoluzione capitalista che, prima in Inghilterra e poi in altre economie, ha trasformato il modo in cui le persone interagiscono tra loro e con la natura per produrre il necessario per vivere.

I sistemi politici

sistema politico
Ciò che determina il modo in cui si promulgano le leggi e si sceglie chi deve governare e il modo in cui i governi attuano le politiche.

Una delle ragioni per le quali il capitalismo si presenta in tante forme diverse è che, nel corso della storia come nel presente, le economie capitaliste hanno coesistito e coesistono con una varietà di sistemi politici. Un sistema politico, come la democrazia o la dittatura, determina il modo in cui si seleziona il governo, e il modo in cui i governi prendono e mettono in atto le decisioni che interessano la popolazione.

Il capitalismo ha preso piede in Inghilterra, nei Paesi Bassi, e nella maggior parte dei paesi ad alto reddito di oggi, ben prima della democrazia. In nessun paese vigeva il suffragio universale prima della fine del XIX secolo (il primo paese ad introdurlo fu la Nuova Zelanda nel 1893). Anche nel passato più recente, il capitalismo ha potuto convivere con regimi non democratici, come nel caso del Cile tra il 1973 e il 1990, in Brasile tra il 1964 e il 1985 e in Giappone prima del 1945. La Cina di oggi ha adottato una variante del sistema economico capitalista, ma il suo governo non è democratico secondo la nostra definizione. Nella maggior parte dei paesi, tuttavia, capitalismo e democrazia oggi coesistono, influenzandosi a vicenda.

democrazia
Sistema politico che idealmente dà a tutti i cittadini lo stesso potere, basato su diritti individuali come la libertà di parola, di associazione e di stampa; la democrazia è caratterizzata da elezioni imparziali a cui tutti i cittadini adulti possono partecipare e dal cui esito dipende la permanenza di un governo o la sua sostituzione con un altro governo.

Come il capitalismo, anche la democrazia può assumere forme diverse. In alcuni casi, il capo dello Stato è eletto direttamente; in altre è un’assemblea elettiva, come il parlamento, ad eleggerlo. In alcune democrazie vi sono limiti molto stretti al modo in cui gli individui possono influenzare le elezioni o la politica pubblica mediante i loro contributi finanziari; in altre i finanziamenti privati esercitano una grande influenza attraverso i contributi erogati nelle campagne elettorali, le pressioni politiche, e persino attività illecite come la corruzione.

Queste differenze tra i sistemi democratici contribuiscono a spiegare perché il peso assunto dallo Stato nelle economie capitaliste possa differire da paese a paese. In Giappone e in Corea del Sud, per esempio, il governo svolge un ruolo di direzione importante nell’economia, ma il livello complessivo di entrate fiscali (sia a livello locale che nazionale) è basso in confronto a quello delle economie più ricche del Nord Europa, dove esso supera la metà del PIL. In Svezia e Danimarca la diseguaglianza del reddito disponibile (misurata con uno degli indici più utilizzati) è la metà della diseguaglianza di reddito misurata prima del pagamento delle imposte e dei trasferimenti pubblici. In Giappone e in Corea del Sud, le imposte e i trasferimenti pubblici riducono la diseguaglianza del reddito disponibile in misura molto inferiore.

Domanda 1.7 Scegliete le risposte corrette

La figura 1.9 mostra il PIL pro capite della Germania Est e Ovest, del Giappone e della Spagna tra il 1950 e il 1990. Quale delle seguenti affermazioni è corretta?

  • La ragione principale della performance più deludente della Germania Est rispetto alla Germania Ovest è il più basso punto di partenza.
  • Giappone e Germania Ovest hanno un più alto livello di PIL pro capite nel 1990 in quanto hanno trovato il sistema economico ottimale.
  • La Spagna ha avuto un tasso di crescita maggiore della Germania tra il 1950 e il 1990.
  • La differenza tra Germania Est e Ovest dimostra che il capitalismo è sempre in grado di promuovere una crescita rapida, mentre la pianificazione è sempre una ricetta per la stagnazione.
  • Il Giappone, che partiva da un punto ancora più basso di quello della Germania Est, è riuscito a raggiungere il livello della Germania Ovest
  • Può esserci più di un sistema economico di successo. L’economia giapponese è caratterizzata da una combinazione di proprietà privata, mercati e imprese e da un forte ruolo dello stato, che la rende diversa dall’economia tedesca.
  • Il tasso di crescita del PIL pro capite si può desumere dalla pendenza della curva quando essa è rappresentata in scala logaritmica, come nella figura. Il fatto che la pendenza della curva della Spagna sia stata maggiore in media tra il 1950 e il 1990 indica una crescita più rapida, cioè un maggiore tasso di crescita
  • Non basta un solo dato per “provare” una teoria economica. Ciò che possiamo desumere da questi dati è che, nella seconda metà del XX secolo, la diversità delle istituzioni economiche ha influito sul tenore di vita dei tedeschi.

Domanda 1.8 Scegliete le risposte corrette

Il grafico della figura 1.10 suggerisce che:

  • L’azione di governo del Partito Comunista in Unione Sovietica prima del 1990 è stato un totale fallimento.
  • La differenza di performance del Botswana e della Nigeria illustra che la ricchezza di risorse naturali da sola non garantisce una maggiore crescita economica: è necessaria anche la qualità delle istituzioni (governo, mercati e imprese).
  • L’impressionante crescita economica della Corea del Sud implica che gli altri paesi dovrebbero imitarne le istituzioni.
  • I dati della Federazione Russa e dell’ex Unione Sovietica dopo il 1990 mostrano che la sostituzione della pianificazione con il capitalismo ha portato ad un immediato aumento della crescita economica.
  • L’ex Unione Sovietica è cresciuta ben più del Brasile, e il suo PIL pro capite poco prima della fine del regime comunista nel 1990 è arrivato addirittura a superare quello dell’Argentina.
  • Sia la Nigeria che il Botswana sono ricchi di risorse naturali; tuttavia, la crescita della Nigeria è stata impedita dalla diffusione della corruzione e delle attività illecite, mentre il Botswana viene spesso descritto come il paese meno corrotto dell’Africa, e può vantare uno dei più alti tassi di crescita del PIL al mondo.
  • In Corea del Sud il governo e un piccolo numero di imprese molto grandi hanno svolto un ruolo di guida nel processo di sviluppo. Ciò non significa però che tale sistema sia necessariamente il migliore per tutti i paesi.
  • Il PIL pro capite nei paesi dell’ex Unione Sovietica, inclusa la Federazione Russa, si ridusse significativamente dopo il 1990. Ciò fu dovuto alla scarsa sicurezza dei diritti di proprietà, alla ridotta concorrenza nei mercati, e quindi alla scarsa competitività delle imprese nel neonato sistema capitalista. Una transizione così rapida da un’economia non capitalista a una capitalista viene spesso indicata come “terapia shock”.

1.11 L’economia come campo di studi

scienza economica
Lo studio di come le persone interagiscono tra di loro e con l’ambiente circostante per provvedere al proprio sostentamento, e come tali modalità di interazione cambiano nel tempo.

L’economia, intesa come campo di studi (cioè come scienza economica), si occupa di come le persone interagiscono l’una con l’altra e con l’ambiente naturale che le circonda per produrre ciò di cui necessitano, e come tale interazione cambi nel tempo. Dunque essa riguarda:

Nella figura 1.5 abbiamo mostriamo che l’economia è parte della società, che a sua volta è parte della biosfera. La figura 1.11 mostra la posizione di famiglie e imprese nell’economia, e i flussi che intercorrono tra di esse nella sfera economica e tra la sfera economica e la biosfera. Le imprese utilizzano lavoro insieme a impianti e macchinari per produrre beni e servizi che sono utilizzati dalle famiglie e da altre imprese.

Un modello di economia: imprese e famiglie.

Figura 1.11 Un modello di economia: imprese e famiglie.

La produzione di beni e servizi ha luogo anche all’interno delle famiglie, anche se molto spesso, a differenza delle imprese, le famiglie non vendono ciò che producono sul mercato. Oltre a produrre beni e servizi, le famiglie “producono” persone: la prossima generazione di lavoratori. Il lavoro dei genitori, di chi presta lavori di cura, e di altri componenti o collaboratori familiari, utilizzando strutture e attrezzature (ad esempio: il forno di casa) riproduce e fa crescere la forza lavoro per le imprese — nonché i componenti delle famiglie — di domani.

Tutto ciò avviene all’interno di un sistema fisico e biologico nel quale sia le imprese sia le famiglie utilizzano l’ambiente e le risorse naturali, a partire dall’energia generata con i combustibili fossili fino all’aria che tutti respiriamo. Nell’ambito di questo processo, famiglie e imprese trasformano la natura utilizzando le sue risorse, ma anche fornendole nuovi “input”. Al momento, alcuni tra i più importanti di questi input sono i gas serra, che contribuiscono al cambiamento climatico di cui abbiamo parlato nel paragrafo 1.5.

Esercizio 1.11 Dove e quando avreste voluto nascere?

Supponete di poter scegliere in quale periodo e in quale paese nascere, tra quelli indicati nelle figure 1.1, 1.1-bis e 1.10, sapendo però che apparterrete al 10% più povero della popolazione.

  1. In quale paese scegliereste di nascere?
  2. Supponete invece che, pur appartenendo al 10% più povero della popolazione, lavorando sodo avete la possibilità di muovervi nel 10% più ricco. Cambiereste la vostra scelta?
  3. Supponete infine di poter decidere il paese e il periodo della vostra nascita senza essere sicuro se nascerete in città o in campagna, maschio o femmina, ricco o povero. Quale periodo e paese scegliereste in questo caso?
  4. Nello scenario 3, in quale paese e periodo non vorreste proprio nascere? Spiegate la vostra scelta utilizzando quanto avete appreso in questo capitolo.

1.12 Conclusioni

Per gran parte della storia umana, le condizioni materiali di vita sono state simili in tutto il mondo e sono cambiate di poco da un secolo all’altro. Dal XVIII secolo in poi esse sono migliorate in modo molto rapido in alcuni paesi. Questa svolta ha coinciso con l’avvio di un periodo di rapido progresso tecnico, e con l’affermarsi di un nuovo sistema economico, il capitalismo, nel quale la proprietà privata, i mercati e l’impresa capitalista svolgono un ruolo centrale. L’economia capitalista fornisce incentivi e opportunità per realizzare innovazioni tecnologiche, e rende vantaggiosa la specializzazione.

I paesi differiscono quanto a efficacia delle istituzioni e qualità delle politiche pubbliche: non tutte le economie capitaliste hanno avuto una crescita sostenuta. Oggi, vi sono enormi disparità di reddito tra paesi, e tra ricchi e poveri all’interno di essi. Inoltre, la crescita della produzione è stata accompagnata dal depauperamento delle risorse naturali e dell’ambiente, con effetti anche sul clima.

Concetti introdotti nel Capitolo 1

Prima di procedere, verificate di aver ben compreso questi concetti:

  1. Coyle, D. (2014), GDP: A Brief but Affectionate History, Princeton University Press, Princeton (NJ). 

  2. Eurostat (2015), “Quality of life indicators – measuring quality of life”

  3. Smith, A. (1776), An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, W. Strahan and T. Cadell, Londra (trad. it. Indagine sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni, UTET, Torino, 1871). 

  4. Smith, A. (1759), The Theory of Moral Sentiments, A. Millar, A. Kincaid and J. Bell, Londra (trad. it. Teoria dei sentimenti morali, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 1991). 

  5. Landes, D. S. (1969), The Unbound Prometheus: Technological Change and Industrial Development in Western Europe from 1750 to the Present, Cambridge University Press, Cambridge (UK) (trad. it. Prometeo liberato: trasformazioni tecnologiche e sviluppo industriale nell’Europa occidentale dal 1750 ai giorni nostri, Einaudi, Torino, 1978). 

  6. Seabright, P. (2004), The Company of Strangers: A Natural History of Economic Life, Princeton University Press, Princeton (NJ) (trad. it. In compagnia degli estranei: una storia naturale della vita economica, Codice, Torino, 2005). 

  7. Il discorso sulla “cortina di ferro” (Iron Curtain) di Winston Churchill

  8. Augustine, D. (2013), “Innovation and ideology: Werner Hartmann and the failure of the East German electronics industry”, in The East German Economy, 1945-2010: Falling behind or Catching Up?, a cura di H. Berghoff e U. A. Balbier, Cambridge University Press, Cambridge (UK). 

  9. Kornai, J. (2013), Dynamism, Rivalry, and the Surplus Economy: Two Essays on the Nature of Capitalism, Oxford University Press, Oxford. 

  10. Acemoglu, D. e J. A. Robinson (2012), Why Nations Fail: The Origins of Power, Prosperity and Poverty, Crown Publishers, New York (trad. it. Perché le nazioni falliscono?, Il Saggiatore, Milano, 2013).